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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2011 alle ore 15:28.

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Alcuni di questi interventi potrebbero rendere più dispendiosa la finanza, ma renderanno altresì meno rischiose le operazioni bancarie. A conti fatti è una buona cosa.

Anche in questo caso, la minaccia alla stabilità finanziaria forse è più grave oggi di quanto non lo fosse nel 2008, dal momento che la capacità dei governi europei occidentali di proteggere i sistemi bancari sta chiaramente raggiungendo il limite. Consentire alle controllate delle banche estere di diventare orfani nel mezzo di un peggioramento della crisi nei Paesi di origine comprometterebbe la fiducia nei sistemi finanziari dell’Europa emergente, il che potrebbe scatenare ribassi dei prezzi azionari e una rapida contrazione del credito. Infine, tale situazione tornerebbe indietro a boomerang sulle banche europee occidentali, considerati i loro profondi nessi finanziari e reali con la regione.

Nel 2008 si è cercato di evitare una tale catastrofe con interventi politici, incluso il tentativo di coordinamento previsto dalla cosiddetta Iniziativa di Vienna (in cui è stata coinvolta, tra gli altri, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo). Ora serve urgentemente un nuovo patto per raggiungere l’integrazione finanziaria. Le autorità provenienti dai Paesi di origine e ospitanti di queste banche devono sedersi allo stesso tavolo e prendere delle decisioni.

Come per l’Iniziativa di Vienna, anche una Vienna 2.0 richiederebbe impegno da parte di tutte le parti in gioco. Nel rispondere all’aumento dei requisiti patrimoniali imposto dalle autorità e nello scegliere se aumentare il capitale o vendere asset, le banche devono tenere conto dell’importante ruolo rivestito dalle controllate in numerosi Paesi. Per molte banche, questo avviene naturalmente; le controllate, in veste di importanti creatori di valore, sono elementi cruciali per i loro modelli di business. Per alcuni, tuttavia, le controllate sono più piccole rispetto alle dimensioni delle società madri, e quindi meno cruciali a fini strategici.

Anche i Paesi di origine devono offrire il proprio contributo. All’interno dell’Eurozona, qualsiasi ricapitalizzazione, garanzia o altro fondo offerto alle società madri dovrebbe essere messo a disposizione delle controllate in egual misura. Qualsiasi ristrutturazione richiesta in cambio di supporto di capitale dovrebbe prendere in considerazione la natura transfrontaliera dei gruppi e non discriminare le controllate all’estero.

I Paesi ospitanti delle controllate, dal canto loro, devono garantire alle società bancarie madri che la regolamentazione finanziaria sia prevedibile. Alcune delle improvvise, e a volte eccessivamente ambiziose, misure approvate recentemente e volte a tassare il settore o ridistribuire il peso dei prestiti in valuta estera hanno compromesso i buffer di capitale e procrastinato la ripresa del credito e la crescita.

Serve un coordinamento. L’Autorità bancaria europea ha la possibilità di far sentire la propria voce. Deve garantire che gli interessi nazionali non indeboliscano l’integrità dei gruppi bancari transfrontalieri. Infine, abbiamo bisogno di un’assicurazione sui depositi a livello europeo e di un’autorità di risoluzione comune per le banche che sia in grado di subentrare e ristrutturare le banche fallite.

Proprio come l’Eurozona ha incentivato lo sviluppo finanziario e la crescita economica tra i suoi membri, l’attuale crisi ora rischia di infliggere gravi danni collaterali oltre i propri confini. Qualsiasi soluzione sostenibile per la crisi deve garantire l’integrità dei gruppi bancari e rispettare gli interessi dei Paesi di origine e ospitanti di queste banche. In definitiva è il sistema bancario transfrontaliero ad essere in bilico.

Erik Berglof è capo economista della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo.

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgTraduzione di Simona Polverino

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