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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2012 alle ore 09:35.

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Sergio Marchionne è di nuovo a caccia di un partner. Dopo un paio d'anni di relativa calma, con Fiat impegnata nell'integrazione con Chrysler, il manager ha di nuovo suonato la carica. Sei milioni di auto nel 2014 tra Fiat e il partner americano (peraltro difficilmente raggiungibili) non bastano più: bisogna puntare a 8-10 milioni e soprattutto consolidare in Europa, dove la stagnazione attuale e prevista delle vendite aggrava la cronica sovracapacità produttiva.

La situazione attuale in Europa, dice Sergio Marchionne, ricorda quella degli Usa prima del grande crollo del 2007/08. Del resto il mercato europeo dell'auto negli ultimi dieci anni ha vissuto di fatto nella malcelata speranza che qualcuno dei big "saltasse", fornendo così una soluzione naturale al problema della sovracapacità: dieci anni fa poteva essere Fiat, poi è stato il turno di Opel nel 2008/2009. L'idea lanciata da Marchionne è ora: consolidiamo noi prima che sia il mercato a costringerci a farlo. Un segno di forza o di debolezza? Probabilmente di entrambe. Fiat è molto più forte ed equilibrata con Chrysler, ed è meno dipendente dall'Europa; ma proprio in Europa è il più debole dei grandi, con una quota di mercato che fuori dall'Italia è ormai stata superata dalla Hyundai/Kia. Una cosa è certa: quando Marchionne lancia messaggi di questo tipo, vuol dire che ha già mosso le sue pedine, come minimo palesando la propria disponibilità ad intese nel caso in cui qualche altro concorrente dovesse essere messo alle corde dai prossimi due anni difficili in Europa.

Il manager italo-canadese aveva del resto già cercato di risolvere il problema allo scoppio della grande crisi, tra il 2008 e il 2009. Allora i contatti erano stati con Opel e Psa Peugeot Citroen; e non è un caso che anche adesso i due nomi siano tornati alla ribalta. L'indicazione esplicita del consolidamento in Europa restringe la ricerca dell'identikit del potenziale socio: tagliata fuori per esempio la giapponese Suzuki che pure secondo Pierluigi Bellini, associate director di Ihs Global Insight, potrebbe fornire al Lingotto «un importante contributo geografico e di volumi»; tagliati fuori anche gli altri potenziali partner cinesi o indiani.

Di fatto Psa e Opel sono gli unici candidati fra i costruttori generalisti: la filiale europea di Ford è fortemente integrata nella casamadre ed è più redditizia di quella di Gm; Renault ricava già da Nissan le necessarie sinergie, è impegnata nel rilancio della russa Autovaz e ha appena ampliato la promettente alleanza con Daimler. Sia Opel che Psa sono o sono già state alleate di Fiat: la casa tedesca ha cooperato con Fiat dal 2000 al 2005, quando Gm era socia di Fiat Auto. I rapporti di Fiat con Psa sono di lunghissima data e coinvolgono le due famiglie Agnelli e Peugeot, rappresentanti storiche del capitalismo familiare europeo.

Entrambe le soluzioni non sarebbero prive di problemi. L'azienda francese ha più volte aperto a possibili intese ma è gelosa della propria indipendenza. Un nodo reso ancor più complicato da sciogliere dai recenti rovesci in Borsa, hanno ridotto il valore di Psa a poco più di 3 miliardi di euro (3,07) contro i 4,89 di Fiat. Difficile, in queste condizioni, immaginare una fusione alla pari – a meno che, per esempio, la Ferrari non venga scorporata da Fiat spa prima di un'eventuale operazione. Qualora si riuscisse a trovare una formula in grado di garantire i francesi, non sarebbe facile farla funzionare: non vi sono molti esempi di fusioni alla pari tra aziende familiari che non si trasformino prima o poi in acquisizione.

Nel caso dei contatti con Opel, ancor prima che Gm decidesse nel 2009 di non venderla più la candidatura Fiat era scivolata sulla dura opposizione del sindacato interno, guidato dal potente Klaus Franz. Adesso Franz è in pensione ma le diffidenze tedesche nei confronti degli italiani restano. C'è un altro fattore importante, che qualche settimana fa ha fatto naufragare la cessione di Saab da parte di Gm: se quest'ultima dovesse cambiare idea e rimettere Opel sul mercato, la vendita a Fiat rafforzerebbe anche Chrysler, ovvero una concorrente di Gm sul mercato Usa. E infine, chi metterebbe i soldi per l'inevitabile e costosa ristrutturazione? Poco probabile che sia il Governo tedesco, che già nicchiava due anni fa ed è sottoposto ora a vincoli più stringenti. E Fiat-Chrysler, pur giovandosi della ripresa dell'azienda americana, non è certo in condizioni di sostenere esborsi significativi. Il rompicapo, insomma, rischia di restare insoluto ancora per un po'.

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