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Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2012 alle ore 06:41.

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Vulnerabili perché con le spalle meno larghe, spesso costrette ad affrontare da sole i venti contrari della crisi. Ma gioiellini di innovazione e qualità del lavoro capaci di creare nuova occupazione. Sono le Pmi l'asso nella manica per risollevare l'economia europea dallo spettro sempre più concreto della recessione. Ne è convinta la Commissione Ue che pubblica oggi una fotografia inedita sul peso dei "piccoli". Dove l'Italia conferma però il proprio differenziale con la Germania in termini di posti di lavoro e incentivi.
Tra il 2002 e il 2010 – rivela lo studio – l'85% della nuova occupazione netta (900 milioni di posti) nella Ue è stato creato da piccole e medie imprese. Un ritmo di crescita dell'1% all'anno, il doppio rispetto a quello registrato dalle grandi e più veloce dell'aumento della popolazione attiva (0,8 per cento) sulla scia della performance di alcuni Paesi dell'Est, come Bulgaria, Romania e Slovacchia. Se a Berlino le nuove assunzioni portate in dote dai "piccoli" sono cresciute dell'1,7%, Roma ha registrato un ben più modesto +0,8 per cento, ma ha fatto meglio di Francia (+0,3%) e Spagna +(0,2% per cento). Solo Repubblica Ceca e Malta hanno segnato una riduzione dell'occupazione nelle piccole e medie imprese, mentre in Lettonia il tasso è rimasto invariato. A tirare la volata sono state le start up e le imprese con meno di cinque anni, in particolare nel settore dei servizi.
Nel biennio 2009 e 2010 la crisi ha però mutato lo scenario e i suoi effetti si sono fatti sentire soprattutto tra le piccole imprese, che hanno registrato un calo medio annuo dei posti di lavoro del 2,4% rispetto al rallentamento dello 0,95% in quelle grandi. Tra le nubi più nere da scacciare per le aziende di minori dimensioni – secondo un sondaggio effettuato da Bruxelles a fine 2010 – figurano il calo degli ordinativi (che ha colpito il 58% delle Pmi interpellate) e l'aumento dei ritardi di pagamento (segnalati dal 49% dei "piccoli"). L'innovazione si è però dimostrata uno strumento di difesa efficace contro la crisi: nei Paesi più avanzati su questo fronte, infatti, la quota di imprese che lamenta un calo degli ordinativi scende al 45% e quelle che dichiarano di soffrire del ritardo dei pagamenti passa al 32 per cento.
Per incoraggiare le Pmi a non licenziare i propri dipendenti o ad assumere nuova forza lavoro i governi hanno messo in campo sistemi di incentivi che includono una riduzione temporanea dell'orario o forme di sostegno per finanziare corsi di formazione continua. Anche qui l'Italia sconta un divario. Se in Germania hanno usufruito di queste agevolazioni il 19% delle Pmi, nella Penisola la quota scende al 12 per cento.

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