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Questo articolo è stato pubblicato il 07 febbraio 2012 alle ore 07:18.
Continua la pressione della troika, composta dall'Unione europea, dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca centrale europea, sul governo di Lucas Papademos, alle prese con un secondo piano di tagli e una ristrutturazione del debito pubblico. Il primo ministro sta trattando con i tre partiti che lo sostengono in Parlamento per far loro accettare le misure draconiane imposte dai creditori ed ottenere quindi il secondo piano di aiuti da 130-145 miliardi di euro.
Fino alla tarda serata di ieri, nonostante l'ottimismo della volontà mostrato dal premier, l'accordo risultava ancora lontano. Una prima concessione sarebbe arrivata sullo spinoso tema del pubblico impiego. Secondo indiscrezioni la coalizione di governo greca avrebbe accettato di ridurre la forza lavoro del settore pubblico di 15mila unità nel corso del 2012, obiettivo che avrebbe dovuto essere raggiunto a fine 2011.
Parallelamente, il Governo greco sta trattando con le banche una ristrutturazione del debito. In un evidente tentativo di fare pressione, Papademos avrebbe anche fatto filtrare la richiesta fatta al ministro delle Finanze Evangelos Venizelos di preparare un documento sulle implicazioni di un'insolvenza greca. Basterà? Tutto resta legato al sì dei tre partiti della maggioranza di un Governo composto da tecnici e da politici.
Antonis Samaras, leader di Neo Dimokratia, è il più ostile alle nuove misure di austerità perché è in testa nei sondaggi per le prossime elezioni previste ad aprile e non vuole perdere consensi. Se non ci sarà un'intesa però, il Governo rischia di saltare e con esso i conti del Paese. A quel punto infatti una dichiarazione di fallimento sarebbe pressoché automatica perché senza gli aiuti internazionali la Grecia non sarà in grado di rimborsare i 14,4 miliardi di euro di titoli pubblici in scadenza il 20 marzo.
Dietro alle trattative di queste ore si nasconde una pericolosissima partita di ricatti reciproci tra Atene e Bruxelles. Il portavoce del commissario agli affari economici Olli Rehn, Amadeu Altafaj, ha avvertito ieri mattina: «Siamo oltre le scadenze che ci eravamo fissati. Speravamo in una soluzione durante il fine settimana. C'è una scadenza che non possiamo certo ignorare ed è quella del 20 marzo».
Da un lato, la Grecia crede di poter strappare comunque all'Europa nuovi aiuti finanziari tanto appare drammatica l'ipotesi di un fallimento del Paese mediterraneo. Dall'altro, la zona euro minaccia Atene di abbandonarla al suo destino, pur di convincere la classe politica greca a nuove misure di austerità. Durante il fine settimana, parlando a Der Spiegel, il presidente dell'Eurogruppo, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, ha avvertito che senza nuove misure non vi sarebbero nuovi aiuti.
Ieri Altafaj ha sottolineato come il pacchetto greco su cui si sta lavorando abbia tali e tanti risvolti da richiedere numerosi passaggi pratici e legali. A cercare l'intesa sono il Governo e le banche, ma anche il Governo e la troika; successivamente il pacchetto di ristrutturazione del debito deve essere presentato ai mercati finanziari perché venga accettato dagli investitori. «La speranza è che si possa concludere il tutto in questi giorni», ha aggiunto Altafaj, visibilmente nervoso.
Dietro alla proposta di creare un fondo in cui i greci verserebbero d'autorità gli interessi sui prestiti ricevuti dall'Europa si nasconde il tentativo francese di rassicurare i Paesi che sempre più sono pronti ad accettare un fallimento greco, in primis l'Olanda, costi quel che costi. «La verità è che la Grecia non ha fatto finora quanto promesso: è evidente il timore che continui a non rispettare gli impegni», spiegava ieri sera un diplomatico, sottolineando la gravità del momento.
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