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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2012 alle ore 08:02.
L'ultima modifica è del 07 aprile 2014 alle ore 11:47.

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Quest'anno, secondo il Centro Europa Ricerche, ci saranno duecento miliardi di impieghi in meno. E, nella stima di Prometeia, 25mila imprese falliranno finendo tecnicamente in default e bruciando 625mila posti di lavoro.

Una prospettiva drammatica, che è il risultato di una tensione crescente nel rapporto fra banca e impresa, sintetizzata dal peggioramento riscontrato negli ultimi due anni dall'Istat che ha fissato nel 12% la quota di imprese che non ha ottenuto credito dalle banche, mentre il 33% ha visto diventare più onerose le condizioni.

«Io non so nemmeno con quanti zeri si scrive 500 miliardi di euro - dice un imprenditore piemontese ("niente nomi, ho già abbastanza problemi") - so solo che, a me, non è arrivato un centesimo dei finanziamenti della Bce agli istituti italiani. Prima la banca mi ha dato l'ok per l'acquisto di un nuovo macchinario da due milioni di euro, poi mi ha triplicato lo spread. Alla fine ho dovuto ricapitalizzare l'azienda».

Poco importa se sono 116 e non 500 i miliardi che Francoforte ha prestato, al tasso dell'1%, ai nostri istituti di credito. «Il credit crunch - osserva Sergio De Nardis, capoeconomista di Nomisma - produce un avvitamento finanziario che danneggia la fisiologia interna delle Pmi, minandone la residua base patrimoniale».

Allo sportello, però, non si è ancora visto nulla. «È plausibile - spiega il capoeconomista del Cer, Stefano Fantacone - uno scenario da vero credit crunch, con un doppio shock sia sulla quantità di credito erogata sia sui tassi praticati». Nella simulazione del Cer, che è basata su una ipotesi di flessione complessiva nel 2012 del 5% e di una ulteriore riduzione di un punto e mezzo nel 2013, l'andamento degli impieghi esprime una dinamica violenta: ad aprile andrà per la prima volta sotto zero, a luglio precipiterà a -5%, a ottobre a -9% fino a sprofondare, a dicembre, a -11 per cento.

Al di là delle ragioni di fondo di questi avvitamenti, tutti si stanno accorgendo del rapido peggioramento del clima. L'"ultraprudenza" trasformata in condizione strutturale e permanente appare un elemento sistemico. «Ormai - racconta Massimo Pelizza, direttore finanziario della Socotec - la parola d'ordine è: nessun rischio. Non ho avuto problemi con la banca, ma con il consorzio di garanzia fidi». Il caso della sua azienda di famiglia, che si trova a Lentate sul Seveso ed è specializzata in impianti elettrici e meccanici per ospedali pubblici, rappresenta bene il contagio. Una sfiducia trasversale che orienta i comportamenti di tutti: i funzionari di banca, ma anche gli impiegati dei confidi. «Il 3 agosto abbiamo trasformato la nostra srl in spa - dice l'imprenditore - facendo un aumento di capitale da 1,2 milioni di euro. Soldi di famiglia, buoni per sostenere una crescita che, dai 4,4 milioni di euro di fatturato del 2008, arriverà quest'anno a 23,5 milioni. In estate succede il finimondo. Io sono tranquillo. Abbiamo appena messo quasi due miliardi e mezzo delle vecchie lire nella società. Vado a chiedere un affidamento da 400mila euro. La banca dice di sì, il confidi dice di no, la banca fa un passo indietro».

Dunque, per ragioni di sistema, escono sempre meno gocce da tutti i rubinetti del credito. C'è poca acqua (la liquidità bancaria). Ma anche il cavallo (il sistema industriale) non beve, in un intorpidimento anoressizzante che ha nel razionamento del credito uno degli elementi principali, anche se non l'unico. «Secondo le nostre stime - dice Alessandra Lanza, capoeconomista di Prometeia - quest'anno 25mila società di capitale, non finanziarie, finiranno in default. È chiaro che questi fallimenti saranno dovuti al combinato disposto del razionamento del credito e di una crisi generale dei mercati che mette sotto pressione tutto il nostro manifatturiero».

Ogni società di capitale italiana ha 25 addetti (media calcolata dal Ceris Cnr): dunque, a causa della crisi finanziaria originata dalla recessione sui mercati e dal credit crunch, si può stimare che quest'anno si ritroveranno senza lavoro 625mila italiani. Un fenomeno profondo, dunque. Qualcosa in grado di mutare il paesaggio industriale e di condizionare gli equilibri sociali del nostro Paese. Per il Cer un razionamento del credito di questa portata avrà effetti sui consumi (mezzo punto in meno quest'anno e un punto in meno l'anno prossimo) e sul Pil (circa un punto in meno all'anno, per due anni). Le importazioni caleranno del 4,9% e le esportazioni resteranno inchiodate a un irrilevante +0,1 per cento. E gli investimenti lordi delle aziende scenderanno dell'11,3 per cento. «Così - osserva Giampaolo Vitali, segretario del Gruppo economisti di impresa - il processo di selezione virtuosa innescatosi con l'ingresso nell'euro nel sistema industriale italiano rischia di arrestarsi».

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