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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2012 alle ore 07:47.

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ROMA - Nessuna manovra bis, ma la linea del Piave del governo sulle liberalizzazioni è di accogliere «solo qualche modifica. Non tutte sono di arretramento, altre non potremo accogliere e non le accoglieremo».
Le nuove previsioni della Commissione europea collocano la caduta del Pil per l'anno in corso all'1,3%, contro lo 0,4-0,5% stimato in dicembre dal governo.

Occorrerà dunque una manovra bis? La domanda, non certo inattesa, cade nel mezzo della conferenza stampa che Mario Monti e Mariano Rajoy hanno dedicato per gran parte ad illustrare i progressi compiuti da Italia e Spagna sul fronte del consolidamento fiscale. Il presidente del Consiglio torna a escludere il ricorso a una nuova correzione dei conti pubblici. «Siamo convinti che la direzione imboccata sia quella giusta».

In sostanza, nel ribadire il pareggio di bilancio nel 2013, impegno - sottolinea - assunto già dal precedente governo, Monti ricorda come le previsioni macroeconomiche sulle quali è stata impostata la manovra «salva-Italia» siano ispirate a criteri «molto prudenziali». Al tempo stesso, si è ipotizzata una spesa per interessi in aumento verso il 6% del Pil nel 2014, ma sulla base dei livelli record registrati in novembre, per effetto dell'aumento dello spread Btp/Bund. Si è passati dal picco dei 575 punti base del 9 novembre agli attuali 370, dunque si può fin d'ora mettere nel conto un minor esborso per quel che riguarda la componente decisiva della spesa per interessi sul debito. Infine, il governo si affida ai proventi della lotta all'evasione: «Pur avendo introdotto strumenti vigorosi, non abbiamo contabilizzato neppur un euro». Tutti «margini prudenziali», che consentono ora a Monti di confermare l'obiettivo del pareggio di bilancio senza ulteriori correzioni in corso d'opera. Lo conferma il vice ministro all'Economia, Vittorio Grilli: «Per ora le cose stanno andando come ci attendevamo. Abbiamo fatto riforme importanti e i risultati non tarderanno».


Il premier conta sull'effetto propulsivo che le liberalizzazioni potranno avere sulla crescita. Il decreto è all'esame della commissione Industria del Senato, sotto il peso di 1.500 emendamenti e l'attacco concentrico delle lobby. Altra domanda che non coglie impreparato il premier: il governo sta nuovamente per cedere? Monti la prende alla larga, premettendo che il governo ha una responsabilità precisa presso l'opinione pubblica. Nessun arretramento - ribadisce - poiché sulle riforme dobbiamo «far prevalere l'interesse generale e quindi ottenere un bilanciamento dei sacrifici, che renda il paese veramente competitivo». Gli interessi di categoria sono legittimi, «ed è doveroso e naturale che il governo sia aperto al dialogo, ma teniamo moltissimo a queste riforme. In gioco è il bene del paese».
Di crescita e lavoro hanno parlato i due leader, in linea con la lettera sottoscritta lunedì scorso insieme ad altri dieci leader europei. «Abbiamo molto da imparare gli uni dagli altri». In serata, dopo aver incontrato a palazzo Chigi Martin Schulz (l'obiettivo per il numero uno del Parlamento europeo è salvaguardare l'entità del bilancio dell'Unione), Monti conferma che il tema all'ordine del giorno in Europa deve essere la crescita. E le aspettative sono tutte per il Consiglio europeo dei primi di marzo. «Abbiamo la necessità altresì di conciliare l'integrazione e decisioni comuni di politica economica con la democrazia».

Sintonia assoluta con Schulz, che definisce "storico" il discorso che Monti ha rivolto al Parlamento europeo lo scorso 15 febbraio: «L'Italia è un paese chiave per lo sviluppo dell'eurozona. Siamo tutti sulla stessa barca, o vinciamo o perdiamo tutti».

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