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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2010 alle ore 10:45.
Un po' più caro di quanto si pensi, più facile da cambiare di quanto si creda. Con l'introduzione dell'indicatore sintetico di costo annuo (Isc), lo strumento che Banca d'Italia ha reso obbligatorio dal 26 maggio, per i clienti delle banche italiane il conto corrente è diventato (almeno un po') più trasparente. Un passo importante per i 19,8 milioni di famiglie (l'83% del totale) che ne possiedono almeno uno. Ma il motore online di confronto dei conti correnti sul sito web di PattiChiari, il consorzio dell'Associazione bancaria italiana, in questi giorni non è disponibile perché in aggiornamento per recepire i nuovi dati dei fogli informativi. Per chi vuole comunque iniziare a comparare le offerte, orientandosi tra i costi, «Plus24» offre l'Isc di un campione di 500 conti correnti.
I dati sono stati tratti dalle comunicazioni e dai fogli informativi delle banche che hanno partecipato a un'indagine condotta a tappeto su tutto il sistema bancario. Vi hanno preso parte grandi gruppi quali Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mps, Banco Popolare e Ubi Banca, da banche controllate da istituti esteri come Bnl Bnp Paribas, Cariparma e Friuladria (gruppo Crédit Agricole), popolari come la Milano, la Vicenza e l'Etruria, istituti di medie dimensioni come Banca Sella e Credem, banche estere come Barclays e Deutsche Bank, numerose Bcc, istituti online come Ing Direct e IW Bank, oltre a Banco Posta di Poste Italiane. Il quadro che emerge è molto variegato: sul sito internet del Sole 24 Ore da stamane sarà possibile consultare liberamente la tabella con gli Isc dei conti, ma alcune linee di tendenza possono essere tratteggiate.
L'Isc è un'unica cifra che rende evidente il costo annuo di ciascun conto corrente in funzione del profilo della clientela che intende utilizzarlo (Bankitalia ne ha indicati sei, dai giovani alle famiglie ai pensionati, cui si affianca il conto a consumo per chi ha esigenze di base) e del tipo di operatività con cui lo si utilizza. Ovviamente fa molta differenza il fatto che l'indicatore sia calcolato su tipologie diverse di conto, che offrono una pletora più o meno ampia di servizi. Così come le spese cambiano in funzione della tipologia e del numero di canali sui quali può essere utilizzato il conto corrente: andare allo sportello è più costoso (ma, sorpresa!, non sempre) che regolare da sé, su internet, le proprie transazioni (a proprio rischio), oppure affidarsi ai call center delle banche telefoniche.
Quello che emerge con forza è che i conti online "puri", come Conto corrente Arancio di Ing e Iw Bank non hanno praticamente alcuna spesa (al netto, va sempre ricordato, dell'imposta di bollo che costa 34 euro l'anno). Ma le cose cambiano per i conti online che rappresentano l'integrazione di corrispondenti conti tradizionali. In questo caso la differenza di prezzo tra lo sportello e il web è spessissimo molto ridotta, a volte addirittura inferiore ai 10 euro l'anno. Il motivo è abbastanza chiaro: le banche non possono "spingere" più di tanto gli sconti online perché devono mantenere volumi adeguati agli sportelli in modo da remunerarne i costi. Anzi, ci sono anche sparuti casi in cui i conti online sono più costosi che non allo sportello. Non solo: nei grandi gruppi accade che da banca a banca la stessa tipologia di conto possa avere costi diversi.
Quanto ai costi medi, secondo Banca d'Italia nel 2008 i conti costavano in media 114 euro netti l'anno. Le rilevazioni di Plus24 (non esaustive) indicano costi allo sportello, per tutte le tipologie di utilizzatori, lievemente più alti di quelli registrati da PattiChiari nelle indagini condotte nel gennaio 2005 e a marzo scorso. Si va dagli 8 euro l'anno in più sulla media dei conti per i giovani a quasi 25 per le famiglie con operatività bassa sino a 18 per i pensionati con operatività media. Cifre che fanno la differenza per clienti sempre più attenti alle spese. Non a caso la Commissione Ue ha segnato al 13,1% la quota di italiani che nel 2009 hanno cambiato banca, a fronte di una media Ue-15 dell'11,5%. Che siamo "un popolo di trasmigratori" si vede anche in banca.
nicola.borzi@ilsole24ore.com
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