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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2011 alle ore 08:12.

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L'interno di uno stabilimento Parmalat (Fotogramma)L'interno di uno stabilimento Parmalat (Fotogramma)

Dopo tanto gridare "al lupo, al lupo", alla fine il lupo si è materializzato. I francesi di Lactalis sono usciti allo scoperto ieri per confermare quello che Piazza Affari aveva già subodorato. E cioè che dietro al rastrellamento delle azioni Parmalat – nel giro di tre sedute è passato di mano il 20% del capitale col titolo salito a 2,5 euro – c'erano proprio loro.

Il gruppo lattiero-caseario transalpino – che in Italia è già presente da 14 anni avendo rilevato i marchi Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori – ha dichiarato di avere già la disponibilità dell'11,42% del capitale, il 7,28% in maniera diretta e il 4,14% con un equity swap che, a quanto risulta, ha come controparte SocGen, la banca che ha aiutato Lactalis a raccogliere le azioni sul mercato. L'equity swap contempla però la possibilità di avere la disponibilità di un ulteriore 2,86% (7% in tutto), che potrebbe far salire la quota dei francesi al 14,28%.

Quanto basta per presentare una lista per il rinnovo del consiglio che è in preparazione in queste ore e arrivare al deposito entro le 18 di questa sera. Lactalis non esclude di poter salire ulteriormente – e dovrà farlo se vorrà contrastare il 15,3% in mano ai tre fondi esteri Zenit, MacKenzie e Skagen per esprimere una maggioranza nel rinnovo del board – ma senza oltrepassare la soglia d'Opa del 30%. L'obiettivo, spiega una nota, è quello di proporsi come partner industriale del gruppo di Collecchio e «perseguire lo sviluppo per un progetto di lungo periodo».

Dal fronte Lactalis si rassicura che non si farà lo spezzatino di Parmalat e che la cassa (1,4 miliardi di "tesoretto") non si tocca. Nel contempo arrivano grandi aperture al commissario-ad Enrico Bondi, che però ha già detto sì a Intesa-Sanpaolo che lo schiererà come capolista. E Bondi, per chi lo conosce, considera la calata dei francesi su Collecchio un'operazione ancora meno gradita di quella messa in atto dai tre fondi esteri, che pure un merito l'hanno avuto: quello di evidenziare che nel titolo Parmalat c'era un valore inespresso e di segnalare alla fine che era arrivato il momento per la società di chiudere l'era della public company con azionariato finanziario.

Prima che Lactalis uscisse allo scoperto, il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, si era detto «molto favorevole» all'intervento di una cordata italiana per Parmalat. A questo punto, però, i richiami all'italianità rischiano di restare lettera morta: l'unica soluzione in grado di dare concretezza ai proclami sarebbe quella di promuovere un'Opa con un gruppo industriale tricolore realmente interessato a gestire Parmalat. Ma nei sei anni in cui il gruppo è tornato in Borsa, sgravato dal fardello di debiti del crack Tanzi, di offerte di questo tipo non se ne sono materializzate.

L'unica ipotesi di aggregazione sulla quale si è effettivamente ragionato era quella di Granarolo, la società cooperativa partecipata al 20% da Intesa-Sanpaolo, che è il principale concorrente su piazza di Parmalat. L'opzione Granarolo, molto più piccola per fatturato rispetto alla multinazionale di Collecchio, era stata frenata però da considerazioni antitrust (il 20-30% dei ricavi nazionali a rischio dismissione) e dal timore delle cooperative azioniste di perdere il controllo della fornitura del latte. Negli ultimi giorni era arrivata la disponibilità della società emiliana (colta di sorpresa dalle notizie di ieri) a partecipare a un'iniziativa nazionale per Parmalat che avrebbe potuto materializzarsi dopo il rinnovo del board.

Intesa-Sanpaolo, che ha comunicato su richiesta Consob di avere il 2,15% di Parmalat e confermato che presenterà una lista capofilata da Bondi, in questo momento non si starebbe muovendo. Nel frattempo Assogestioni ha già depositato una lista di tre nomi, con in testa quello dell'ad di Lavazza Gaetano Mele.

Saranno quattro, quindi, le liste che si contenderanno gli 11 posti in consiglio alla prossima assemblea del 14 aprile. I tre fondi esteri, che hanno vincolato il 15,3%, confermano l'intenzione di proporre i propri candidati con Rainer Masera come presidente e Massimo Rossi come amministratore delegato ad interim e futuro vice-presidente. Certezze, però, a questo punto non ce ne sono più. E intanto c'è tempo ancora fino a cinque giorni prima dell'adunanza dei soci per comprare eventualmente azioni utili a partecipare. Se la tensione in Borsa si allenterà nei prossimi giorni vorrà dire che la partita è già considerata sostanzialmente chiusa.

I tre fondi-pattisti scioglieranno il vincolo dopo l'assemblea: tranne Zenit che ha in carico il suo 2% a un prezzo molto alto (si dice vicino ai 3 euro per azione), gli altri due avranno probabilmente una buona convenienza a realizzare l'investimento. Si vedrà.

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