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Questo articolo è stato pubblicato il 02 aprile 2011 alle ore 09:14.

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di Antonella Olivieri
Sette a due. A maggioranza il consiglio di amministrazione della Parmalat ha approvato il rinvio dell'assemblea dalla data già fissata del 14 aprile a quella del 28 giugno. «No comment» dall'amministratore delegato Enrico Bondi. Assente Vittorio Mincato e un altro consigliere, l'unanimità sulla sofferta decisione non è stata raggiunta nel board per il voto contrario di Andrea Guerra (ad di Luxottica) e di Marco De Benedetti (managing director di Carlyle Europe), restii ad accettare soluzioni non di mercato.

Il mercato in effetti finora non si è visto proprio. Non si è visto dal lato dei francesi di Lactalis, che si sono fermati a un soffio dalla soglia dell'Opa, salendo nel capitale fino al 29%. Ma non si è visto neanche nei tentativi delle banche di far scendere in campo chi già in precedenza aveva scartato il dossier per insufficienza di motivazioni industriali, quando oltretutto le quotazioni di Collecchio non erano surriscaldate dalle aspettative suscitate dal patto per il cambiamento promosso dai fondi esteri Zenit, Skagen e MacKenzie e dal successivo rastrellamento del gruppo caseario di Laval.

Il salvagente, nel mare di latte che rischiava di cambiare bandiera, l'ha lanciato solo il Tesoro. Nella sostanza, con l'ultimo provvedimento che prevede l'intervento della Cdp o di un veicolo di sua emanazione nelle società d'interesse strategico. Nella forma, con il decreto del 25 marzo scorso che contemplava la possibilità di far slittare a fine giugno l'adunanza dei soci per consentire «l'ordinato svolgimento delle assemblee annuali», in considerazione della prima applicazione del decreto legislativo del gennaio 2010 che recepiva la direttiva Ue sui diritti degli azionisti. Che c'entra con l'ordinato svolgimento dell'assemblea Parmalat? In effetti, si sarebbe potuto verificare il caso in cui il primo azionista, cioè Lactalis, fosse impedito a esercitare i propri diritti in pendenza di una pronuncia dell'Antitrust Ue sull'ipotesi di concentrazione con Collecchio.

Lactalis però si era mossa d'anticipo, sondando in settimana le autorità europee nella dichiarata convinzione di non dovere inoltrare la notifica poiché le vicende degli ultimi giorni non consentivano di ipotizzare con certezza che la quota in suo possesso fosse effettivamente in grado di esercitare il controllo sul concorrente, sebbene non ci sia dubbio che il pacchetto del 29% sarebbe stato in grado di esprimere la quasi totalità dei voti nelle passate assemblee di Parmalat. Nel caso in cui la Commissione di Bruxelles ravvisasse invece la necessità di procedere con la notifica, che peraltro dovrebbe essere preventiva, allora Lactalis aveva fatto capire che avrebbe chiesto la deroga, allo scopo di mantenersi comunque con le mani libere per il voto.

Giovedì sera, alla vigilia della riunione del cda Parmalat convocato per valutare l'ipotesi di rinvio dell'assemblea, i legali di Lactalis avevano fatto pervenire al presidente Raffaele Picella e a tutti i consiglieri una lettera nella quale in sostanza chiedevano di non far slittare l'appuntamento perché, a loro giudizio, «nessuna incertezza potrà determinarsi alla già convocata assemblea per questioni antitrust». La seconda argomentazione, di natura più tecnica, è che secondo lo statuto Parmalat ieri, giorno di deposito delle azioni, sarebbe stato l'ultimo momento utile per convocare l'assemblea con la pubblicazione sugli organi di stampa (che ovviamente non c'è stata).

Fatto sta che Lactalis, con una nota, ha espresso «sconcerto per la decisione illegittima e priva di motivazioni presa dal consiglio di amministrazione di Parmalat in merito al rinvio dell'assemblea degli azionisti della società». Al contempo ha ribadito «la qualità e la validità del proprio piano industriale di lungo periodo, che è a beneficio di tutti gli azionisti e stakeholder di Parmalat, e rimane aperta al confronto con gli azionisti e con tutti quei soggetti che intendono contribuire allo sviluppo di Parmalat».

Non determinante nella decisione del board Parmalat, anche se di supporto, è stata invece la lettera di Banca Imi (gruppo Intesa Sanpaolo), Mediobanca e UniCredit, che si sono offerte a prestare assistenza in termini di advisory ed eventualmente di finanziamento, ma non a entrare nel capitale di Collecchio. La ricerca affannosa di un partner industriale in extremis si è risolta finora in un nulla di fatto, e del resto difficilmente avrebbe potuto essere diversamente dal momento che il dossier Parmalat era girato su tutti i tavoli negli ultimi due anni senza trovare un acquirente volontario. Granarolo, che sarebbe stata interessata alla parte italiana del gruppo, era troppo piccola in termini relativi per poter digerire l'intero boccone. Ferrero non se l'è sentita di contrastare i francesi con un'Opa. Barilla, che era tra i gruppi contattati in passato, ha ribadito ieri «di non essere mai stata interessata all'azienda di Collecchio» e ha smentito «di avere in programma alcun tipo di incontro relativo al possibile ingresso in una cordata».

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