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Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2011 alle ore 07:38.

Rileva Mario Spreafico, direttore investimenti per Schroeder Italia: «Le top five del mercato a stelle e strisce valgono il 58,4% di tutte le emissioni. Un dato più alto rispetto a quello dell'Europa», dove le prime cinque banche rappresentano il 43,7 per cento. Un rischio? «La maggiore concentrazione è conseguenza del fatto che l'America sia un unico stato. Nel vecchio continente, invece, la natura nazionale delle banche, con le diverse regolamentazioni, causa la frammentazione». Ciò non toglie che la tendenza all'oligopolio, un vizietto diffuso nella finanza di Wall Street, «faccia pensare».
Così come fa rimuginare che non solo sul primario, ma anche sul secondario, i Cdo siano ancora ben presenti. Accade in Europa, un mercato più "sano" e tranquillo di quello Usa. Ebbene: da un lato è ben vero che nelle emissioni la parte del leone la fanno gli Rmbs, cioè le tranquille (con l'eccezione spagnola) cartolarizzazioni legate ai mutui per la casa; dall'altro, però, i Cdo saltano fuori con forza. Valgono 38,8 miliardi di controvalore. Su mercato secondario, invece, diventano 307 miliardi. Una cifra ben più bassa rispetto agli Rmbs ma comunque non proprio irrilevante. «In realtà - dice Luca Peviani, ceo di P&G, fondo specializzato in Abs - non si tratta dei tanto vituperati derivati costruiti sui subprime. Bensì, di emissioni che sfruttano obbligazioni emesse per operazioni quali, per esempio, leverage buy out su aziende. Cioè molto più sicure». Il commento rincuora. Ma chi mette la mano sul fuoco che nessuno tiri fuori dal cilindro i vecchie strategie?
La realtà, alla fine, è articolata. Un mondo, al di là delle banche, un po' a macchia di leopardo. Soprattutto rispetto agli altri attori oggi protagonisti tra gli Abs: gli hedge fund. Una centralità, la loro, che trova motivazione proprio nelle origini della ripresa del mercato. «Nella primavera del 2009 -ricorda Peviani- molti manager di Abs sono stati licenziati dalle banche d'affari americane. Giocoforza, hanno dovuto re-inventarsi. Sono diventati broker, intermediari, in proprio o per conto di istituzioni finanziare».
Spesso gente «con alte competenze e, soprattutto, un'agenda piena zeppa di numeri di telefono di investitori». Così, sfruttando i bassissimi prezzi degli assett e l'appetito al rischio degli operatori, hanno iniziato a offrire questi prodotti non più a grandi banche o fondi comuni, bensì a fondi hedge, soprattutto attivi sul reddito fisso. Insomma, una domanda creata dall'offerta che, dagli Usa, ha preso piede anche in Europa.
Lo stesso Hfri fixed income asset backed index, che monitora la performance degli hedge-fund attivi sugli Abs, lo dimostra: negli ultimi due anni è saliti di oltre 400 punti. Un bel balzo in avanti, non c'è che dire. «Ma con un corporate BBB che offre 150 basis point sull'Euribor e un Abs di uguale rating che ne dà 800 la scelta va da sé», ribadisce Peviani. Per nulla scontate, al contrario, le decisioni come quelle di Stark Investment.
L'hedge fund californiano lancerà un veicolo con strategia duplice: comprare Cds contro subprime, scommettendo sul rialzo dei premi; e, al contempo, sfruttare il calo dei prezzi sulla protezione in seguito alle "svendite" delle banche per Basilea III. La reazione è pavloviana: basta simili alchimie.
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