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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2011 alle ore 14:42.

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Swap, in Italia conto da 52 miliardiSwap, in Italia conto da 52 miliardi

di Marcello Frisone
È un dato quasi certo: i disastri dei derivati ingegnerizzati nel mondo anglosassone non sono stati "importati" dalle banche italiane nei propri bilanci, come invece è successo a tanti altri istituti di credito stranieri. È altrettanto quasi certo, però, che le grandi banche italiane non hanno resistito ai lauti profitti consentiti da altri derivati Over the counter (Otc, scambiati cioè fuori da mercati regolamentati) di "copertura" contro il rialzo dei tassi di interesse venduti a enti territoriali, imprese, società finanziarie e piccoli istituti di credito nostrani. Al 31 dicembre scorso, infatti, le perdite potenziali sui derivati Otc del "sistema Italia" nei confronti degli istituti di credito (italiani e quelli esteri con filiali nel nostro paese) sono di 52,2 miliardi di euro. È questa cioè la cifra complessiva che i sottoscrittori di questi contratti dovrebbero versare ai grossi istituti di credito operanti nel nostro paese nel caso in cui decidessero (oppure fossero costretti a farlo) di chiudere anticipatamente gli swap.

Adesso, parlare di derivati "tossici" in Italia, così come lo si è fatto per quelli delle banche straniere che hanno portato alla crisi finanziaria del 2008 è improprio; ma si può tranquillamente parlare di vita "intossicata" per le migliaia di imprese (ma anche enti locali e società finanziarie) che stanno lottando giorno dopo giorno (o meglio semestre dopo semestre) con le rate da pagare sugli swap (sulla cui efficienza i tribunali si stanno man mano esprimendo), con la crisi economica nonché con la spada di Damocle dell'attuale valore di mercato negativo dello swap che con molta probabilità lo sarà anche alla scadenza tra qualche anno. Ma andiamo con ordine.

Il buco potenziale

Come detto, le perdite potenziali complessive sui derivati ammontano a 52,2 miliardi. La variazione rispetto al trimestre precedente è del 31% (da 75,8 miliardi): questo dato può essere imputato per la maggior parte alla effettiva materializzazione delle perdite dovuta alla chiusura dei contratti e per il resto dalla variazione dei tassi d'interesse. I dati tratti dalla base informativa pubblica di Bankitalia non finiscono mai di stupire sul "fenomeno" derivati (swap sui tassi d'interesse e, in minima parte, sui tassi di cambio): il calo del 31% del periodo ottobre-dicembre 2010 è notevole ma è anche il primo così consistente dal 2005; bisogna dire che anche l'aumento del 26% nel trimestre aprile-giugno è stato sorprendente. Insomma, in pochi mesi la variazione di 23,6 miliardi è davvero una cifra enorme.

Rischi e costi occulti
Dai dati Bankitalia si trae un'altra considerazione: esiste un rischio di controparte (improbabile ma non impossibile) per le banche di ben 52,2 miliardi e che nel corso di sei anni (dal 2005 vengono rese note le perdite in derivati in Centrale Rischi di Bankitalia) le perdite sono man mano cresciute (erano 34,7 miliardi al 31 marzo 2005) e "scollegate" dall'andamento dei tassi di d'interesse (si veda il grafico sotto). Insomma, un mistero che potrebbe essere spiegato dalla presenza in questo valore di mercato negativo (per gli altri operatori ma non per le banche) di costi occulti, gli stessi per esempio contestati dalla Procura di Milano nel processo contro JP Morgan, Deutsche Bank, Ubs e Depfa sui derivati venduti nel 2005 al comune meneghino. Sarà l'esito del processo a stabilire chi avrà ragione nella disputa sui costi occulti per 100 milioni tra banche e Procura anche se (nonostante la fattispecie sia diversa) la VI Sezione civile del Tribunale di Milano ha accertato la presenza di costi occulti nella causa tra UniCredit e il Comune di Ortona (si veda Il Sole 24 Ore del 21 aprile).

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