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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2011 alle ore 08:10.

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Per convincere i tedeschi ad abbandonare l'amato deutsche mark a favore dell'euro furono fatte due promesse: 1) la Banca centrale europea sarà altrettanto brava della Bundesbank nel tenere l'inflazione sotto controllo; 2) la Germania non dovrà mai intervenire per salvare altri Paesi. La prima promessa è stata ampiamente mantenuta. La seconda fu mantenuta solo fino al maggio 2010, quando iniziò il salvataggio della Grecia prima e dell'Irlanda e Portogallo poi.

Dimenticare queste promesse, come avviene nel dibattito politico e giornalistico italiano, significa non comprendere i vincoli e la posizione del Governo tedesco. Purtroppo, gli strumenti proposti per risolvere la crisi dell'euro (European financial stability facility, eurobond, e acquisti sul mercato secondario della Bce) violano l'una o l'altra promessa (o entrambe). Essi sono quindi un rischio per l'Europa unita, perché se l'euro verrà salvato violando le due promesse, sarà per sempre causa di risentimento da parte dei tedeschi.

Per capirlo, è fondamentale partire da una relazione semplicissima, ma spesso dimenticata: il debito sovrano non è altro che tassazione differita. Assumiamo un tasso di interesse in assenza di rischio di default (cioè tripla A) del 3%. E supponiamo per semplicità che tutti i titoli pubblici siano delle consol, cioè dei titoli che pagano una cedola fissa ogni anno per sempre (la logica non cambia se consideriamo titoli a scadenza). Se la Grecia non ha soldi per pagare 100 euro di pensioni oggi, emette un titolo con cedola di 3 euro, impegnandosi quindi a raccogliere 3 euro di tasse in più all'anno per sempre. Il valore attuale di questo flusso di imposte future è esattamente 100 euro, il prezzo del titolo.

Se ora il mercato si convince che, con una probabilità del 3%, la Grecia non riuscirà a raccogliere 3 euro extra in tasse e non pagherà la cedola del debito emesso, richiederà un interesse del 6%: il 3% aggiuntivo compensa esattamente il rischio di default. Di conseguenza, il valore di mercato del debito greco (che ha una cedola del 3%) si dimezza.
Il ruolo dell'Etsf

Con queste premesse, consideriamo l'effetto dei vari meccanismi di intervento. L'European financial stability facility (Efsf) è un'entità fuori bilancio che emette bond con una garanzia di tutti i Paesi dell'area euro, all'incirca proporzionale al Pil di ciascuno. Grazie alla garanzia dei Paesi più solidi si finanzia a tasso AAA pari al 3%, per prestare ai Paesi a rischio. Ovviamente l'operazione ha senso solo se l'Efsf presta alla Grecia a meno del 6%, diciamo al 4,5 per cento. Al pubblico ignaro l'Efsf appare dunque come un'alchimia magica in grado di trasformare il piombo in oro, per cui tutti ci guadagnano: l'Efsf guadagna la differenza tra un tasso attivo del 4,5% e un tasso passivo del 3%, e la Grecia paga solo il 4,5% invece che il 6% di mercato.

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