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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2011 alle ore 08:12.

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TOKYO. I mercati asiatici - dopo qualche esitazione - si sono orientati ad aprire la settimana ancora una volta in netto ribasso, in una giornata in cui l'oro tocca il nuovo record storico a 1.894,80 dollari l'oncia e il petrolio Brent cede oltre due dollari (anche per la prospettiva di un ritorno delle forniture libiche, con l'approssimarsi della fine della guerra civile).

L'indice Nikkei della Borsa di Tokyo ha chiuso in calo dell'1,04% a 8.628,13 punti, scendendo ai minimi da 5 mesi, evitando però il peggio grazie al rimbalzo dello yen ( brevemente sopra quota 77) rispetto al record storico sul dollaro toccato venerdì sera a New York a quota 75,95. Rinnovate e più precise le minacce di un altro intervento sul mercato dei cambi (dopo quello del 4 agosto scorso): sia il premier Naoto Kan sia il ministro delle Finanze Yoshihiko Noda hanno sottolineato che il governo è pronto a intraprendere azioni forti contro i movimenti valutari speculativi. I giorni dell'esecutivo Kan (la cui popolarità, secondo l'ultimo sondaggio del quotidiano Mainichi, è scesa al minimo del 15 %) appaiono contati: Noda è finora il favorito a succedergli, ma oggi è emerso che l'ex ministro degli esteri Seiji Maehara è pronto a scendere in campo. Una delle due agenzie di rating giapponesi, la R&I, ha dichiarato oggi che è sempre più difficile che il Giappone possa mantenere il rating massimo di tripla A.

Anche sulle altre piazze asiatiche continua a pesare lo scenario di indebolimento dell'economia statunitense e la crisi del debito sovrano europeo.

Mentre il vicepresidente Usa Joe Biden ha lasciato la Cina per la Mongolia e il Giappone con un ultimo appello agli investitori («Restiamo la scommessa migliore nel mondo in termini di dove investire»), il Quotidiano del Popolo ha pubblicato un aspro commento firmato dal'ex capo della sezione internazionale della Banca centrale, Zhang Zhixiang, e dall'economista della China Development Bank Zhang Chao, in cui si afferma che «la crisi del debito sovrano europeo si è diffusa come la Peste Nera del quattordicesimo secolo nei paesi dell'eurozona» e che, se pure non avrà un impatto sulle riserve valutarie paragonabile a quello del downgrading del debito sovrano Usa, «la crisi del debito europeo potrà condurre a un declino della domanda reale che avrà conseguenze a vasto raggio sull'economia reale cinese». Questa settimana, a focalizzare l'attenzione di Pechino sul debito europeo sarà anche la visita di giovedì prossimo del presidente francese Nicolas Sarkozy.

Intanto una sorpresa negativa è arrivata da una delle economie trainanti del sud-est asiatico: il Prodotto interno lordo della Thailandia si è contratto dello 0,2% nel secondo trimestre di quest'anno rispetto al primo, penalizzato dall'impatto del terremoto giapponese sulla catena manifatturiera locale e da un rallentamento della spesa delle famiglie. Diventa a questo punto più difficile che la banca centrale di Bankgok prosegua nel trend che l'ha portata a rialzare i tassi ben otto volte in un anno per combattere l'inflazione. Altre banche asiatiche hanno già segnalato la volontà di darsi una pausa, in vista delle conseguenze dell'ormai più che probabile rallentamento economico delle economie avanzate.

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