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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2011 alle ore 09:21.

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di Fabio Pavesi
Che c'entra il Dax30, l'indice delle blue chip tedesche, e di fatto la Borsa più rappresentativa dell'eurozona, con la morìa greca e in generale con gli affanni legati alla sostenibilità dei debiti pubblici dell'Europa meridionale? Poco o nulla in effetti. Nelle folate di tempesta che hanno travolto negli ultimi mesi le banche italiane e quindi il FTSE MIB, ma anche i listini di Grecia e Spagna, il Dax ha finito per fare da argine. Di fatto fino a tutto luglio l'indice ha tenuto con perseveranza la quota intorno ai 7mila punti recuperando velocemente lo scivolone a 6.500 punti del marzo scorso. Poi improvvisamente il patatrac: con il Dax a inanellare cadute su cadute che hanno portato in soli 30 giorni l'indice a quota 5.537 con cui ha chiuso ieri. Una secca perdita del 23%, oltre un quinto dell'intera capitalizzazione in un mese.

Vista così l'episodio dell'altro ieri con quel maxi-ordine di vendita che ha fatto cadere l'indice del 4% (per poi chiudere a -1,7%) e che ha precipitato per una buona mezz'ora gli operatori di tutto il mondo nel panico, si iscrive in un contesto ben più ampio. C'è davvero, e non per lo spazio di un mattino, una vera e propria fuga degli investitori dalla locomotiva borsistica tedesca.

E questo apre una luce nuova sui mercati, che esula dal nervosismo per la sorte di Grecia e affini. Non si vende il Dax per la paura del debito tedesco ovviamente e neppure per le sorti greche che pur continuano a tenere con il fiato sospeso Berlino così come le altre capitali. Ci si libera dei migliori titoli tedeschi in realtà per due motivi che si sono concatenati.

Paura delle recessione, ciclici venduti
Il primo è il timore del rallentamento della crescita mondiale. Che sia recessione o meno cosa fa un operatore di Borsa? Si libera di quei titoli più legati al ciclo economico. E il listino tedesco è perfetto, pieno com'è di titoli di società manifatturiere che fanno della Germania il primo esportatore dell'eurozona. Vista in quest'ottica ci si può spiegare il crollo di un colosso dell'acciaio come Thyssen Krupp, scivolata di un 29% da inizio agosto e di un 39% da inizio luglio. Ma anche la chimica è caduta: Basf segna un rosso del 22% a un mese; la Bayer del 20%. Venduti a piene mani i cementieri come Heidelberg (-26%) e che dire dell'auto che pur raccoglie ancora, come nel caso di Volkswagen, margini e utili in Estremo Oriente? La casa di Wolfsburg perde da inizio agosto il 21% e Daimler il 27%.

Tutta roba di cui disfarsi perché pericolosa o perché i conti societari hanno fortemente deluso? Affatto.

Il maggior produttore di auto in Europa ha chiuso il primo semestre dell'anno con ricavi in crescita del 25,8% a 77,8 miliardi un utile netto salito a 6,5 miliardi dagli 1,8 miliardi. E il consenso prevede tuttora utili netti a 8 miliardi dai 5 miliardi del 2010. Su Basf sono sì state tagliate le stime, ma nonostante ciò le aspettative sono per utili per azione a 6,3 euro quest'anno e a 7,15 per il 2012. Insomma per ora niente che faccia pensare a un capitombolo sui bilanci. Eppure si vende. La spiegazione anche qui ha una sua ragion d'essere: se si teme l'arrivo di una recessione globale si prende profitto sui titoli che rischiano di rallentare e che hanno corso molto. Volkswagen è reduce da un rally del 250% dai minimi del marzo 2009. Siemens guadagna tuttora il 64% dal marzo 2009; la stessa Basf ha regalato finora agli investitori un buon 108% dai minimi del 2009.

Dax terreno di caccia per gli shortisti
Ma c'è un secondo elemento che s'intreccia con la paura della recessione che fa vendere gli industriali (e non solo) del Dax. È il fatto che con il divieto delle vendite allo scoperto sugli altri listini continentali, Francoforte resta l'unica vera piazza dell'eurozona a calamitare chi vuole giocare al ribasso. Spiega un operatore di vecchia data come Gian Luca Bolengo, direttore generale di Intermonte: «Con il bando sullo short in mezza Europa, il Dax è divenuto nei fatti l'unico indice su cui andare corti sulle azioni europee. Non si possono usare gli indici nazionali degli altri Paesi e neanche l'EuroStoxx data la presenza di titoli francesi e italiani. E così la scelta del Dax è quasi obbligata». Unisci a questo fatto tecnico la prevalenza su Francoforte di titoli fortemente legati al ciclo economico e il mix per l'attacco alla Corporate Germania è perfetto.

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