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Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2011 alle ore 17:43.

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Berlino gela gli entusiasmi del mercato nella settimana in cui i Governi dell'Eurozona dovranno fare scelte decisive per il futuro dell'Unione monetaria al vertice del 23 ottobre. Sperare che il prossimo meeting europeo possa portare a un accordo che risolva tutti i problemi della crisi del debito «é un sogno impossibile», ha detto tramite un suo portavoce Angela Merkel. «I leader dell'Eurozona non arriveranno a trovare un'intesa su una soluzione permanente alla crisi» ha rincarato la dose il ministro delle Finanze Wolfgang Schauble invitando a non riporre eccessive speranze nel meeting del 23 ottobre.

Una doccia fredda che fa capire quanto restino profonde le divisioni all'interno dell'Eurozona in vista di un vertice su cui i mercati stanno scommettendo. Gli indici hanno messo a segno recuperi importanti dopo il tonfo degli ultimi tre mesi. Consistente in particolare il rimbalzo dell'indice FTSE MIB di Piazza Affari salito del 15% negli ultimi 30 giorni.

Un piano credibile per mettere in sicurezza le banche europee dagli effetti di pesanti svalutazioni sui debiti sovrani e la creazione di un "cordone sanitario" per i paesi dell'Eurozona più in difficoltà attraverso il rafforzamento del fondo salva stati. È in questo che i mercati dall'inizio del mese stanno ponendo le loro speranze. Se dalla politica arriverà una risposta «efficace e in tempi rapidi» - scrivono gli analisti di Intesa Sanpaolo nell'ultimo Weekly economic monitor - potremmo trovarci di fronte a punto di svolta nella crisi che possa «rendere durevole il recupero di fiducia sui mercati visto sinora». Risposte efficaci e tempi rapidi. Non proprio quello a cui ci hanno abituato i vertici dell'Eurozona. Le parole di Angela Merkel ce lo hanno ricordato.

Sono diverse le questioni in agenda. Centrale è in particolare quella dell'Efsf, il fondo salva stati. Secondo Nouriel Roubini, l'economista noto per aver previsto lo scoppio della crisi subprime, la dotazione del fondo dovrebbe essere almeno quattro volte tanto i 440 miliardi di euro attuali. L'orientamento è tuttavia quello di aumentare la "potenza di fuoco" senza mettere mano alle garanzie degli Stati. Come farlo? La ricetta è quella di dotare il fondo di "leva finanziaria". Cioè permettergli di indebitarsi per sostenere a sua volta gli Stati e le banche in difficoltà. Non è ancora chiaro tuttavia come questo possa avvenire. Nelle scorse settimane si era ipotizzato di utilizzare il canale della Bce. Dall'Eurotower è arrivato però un deciso no a una soluzione vista come un'illecita commistione tra un fondo governativo e un banca centrale che dovrebbe mantenersi indipendente. Altre i potesi sono allo studio ma nulla finora è dato per certo.

Altra questione è quella della ricapitalizzazione delle banche. Dal presidente della Commissione Ue Barroso non sono arrivate più che generiche indicazioni sul rafforzamento patrimoniale che le banche dovranno mettere in atto. Intanto diversi esponenti del mondo del credito, tra cui Corrado Passera di Intesa Sanpaolo e Josef Ackermann di Deutsche Bank, hanno paventato il rischio che eccessive richieste di rafforzamento del patrimonio possano portare a un stretta creditizia che potrebbe avere effetti nefasti sull'economia reale.

La tenuta del sistema creditizio è un tema urgente alla luce di un coinvolgimento più pesante dei privati nel salvataggio di Atene. L'ipotesi più papabile è quella di un haircut, cioè un taglio del valore nominale, di circa il 50% per i possessori di titoli greci (ben oltre il 21% inizialmente prospettato con il secondo piano di salvataggio della Grecia). È chiaro che un'ipotesi di questo tipo comporterebbe pesanti svalutazioni per le banche. Per non parlare dell'effetto domino che si scatenerebbe sul mercato dei derivati se scattasse il cosiddetto "credit event", cioè appunto il default che innescherebbe i risarcimenti.

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