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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2011 alle ore 14:08.

Una ristrutturazione radicale del debito greco attraverso un haircut, cioè un taglio consistente del valore nominale dei titoli in possesso dei creditori. La ha evocata nei giorni scorsi l'ex numero uno della Fed Alan Greenspan. Ma ora ne ha parlato anche un esponente di spicco delle autorità dell'eurozona: Jean-Claude Juncker.
In un'intervista alla rete televisiva austriaca ORF il presidente dell'Eurogruppo ha infatti fatto capire che detentori di titoli di Stato della Grecia potrebbero subire perdite anche superiori al 60 per cento rispetto al valore nominale dei bond. Alla domanda se l'Unione europea stia discutendo di un "haircut" del debito greco compreso tra il 50 e il 60%, Juncker ha replicato: «Discutiamo di una cifra superiore».
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Ci troveremmo insomma di fronte a una ristrutturazione ben più dolorosa rispetto a quella dell'accordo di luglio. Il compromesso su Atene prevedeva un coinvolgimento "volontario" dei privati attraverso il cosiddetto rollover del debito che comportava un "haircut" del 21% dei bond greci.
In giornata Guy Schuller, portavoce di Juncker, ha gettato acqua sul fuoco parlando di un «un malinteso». Tuttavia fonti governative europee, citate da France Presse, confermano che si sta discutendo di un haircut del 50 per cento per i titoli di Atene.
Juncker peraltro continua a sostenere che, anche con un taglio sul valore dei bond della Grecia superiore al 60 per cento, non ci si troverebbe in una situazione di fallimento. «Bisogna fare di tutto per evitare una bancarotta di un paese dell'area euro», ha detto.
Resta quindi l'equivoco di fondo sul coinvolgimento dei privati nel salvataggio di Atene. È un fallimento o no? Sì secondo le agenzie di rating che da subito hanno bollato da subito questa operazione come una ristrutturazione mascherata. No per le autorità europee che si fanno scudo della "volontarietà" dell'adesione dei creditori al piano per sostenere che, quella di Atene, non è una bancarotta vera e propria.
Resta irrisolto poi il nodo sui credit default swap, i derivati che assicurano sul rischio fallimento. Se fosse default le banche emittenti di Cds sarebbero costrette a pagare corposi risarcimenti. Chi però decide se per Atene è scattato il crack o meno non sono le agenzie di rating, nè tantomeno le autorità europee ma le banche stesse (in palese conflitto di interesse) attraverso la Isda. L'associazione internazionale su swap e derivati che riunisce tutti gli operatori del settore (825 tra banche, fondi e società finanziarie in tutto il mondo) ha sempre sostenuto che l'accordo dello scorso luglio (che prevede il cosiddetto rollover del debito) non farebbe scattare l'obbligo di risarcire i titolari di cds.
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