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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2011 alle ore 08:11.

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Complice la disaffezione di altre categorie di investitori l'interesse per la famiglia e la piccola impresa è evidente. Proprio perchè la clientela retail sta diventando sempre più interessante, il Tesoro sta valutando nuove modalitá di collocamento diretto di titoli di Stato che si potranno sottoscrivere all'emissione, senza recarsi fisicamente in banca, attraverso i sistemi di trading online bancari aderenti alla piattaforma Mot di Borsa Italiana.
Gran parte del rendimento è legato al buon funzionamento dell'indice Euribor, che offre una puntuale lettura delle tensioni nel mercato interbancario e dall'altra può subire qualche variazione proprio nei giorni di definizione della cedola.
Un'inchiesta è in corso. L'Antitrust europeo vuole verificare come ha funzionato l'indice di riferimento, elaborato da 44 grandi banche europee che forniscono quotidianamente la rilevazione sui tassi applicati, fornendo la base statistica per l'indice utilizzato in un gran numero di contratti, derivati compresi. L'argomento è delicato e finora l'accertamento è soltanto una verifica di buon funzionamento.
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Ogni giorno sento dire che lo spread BTp-Bund aumenta, quali sono le conseguenze sui titoli di Stato che ho in portafoglio?
Lo spread fra BTp e Bund misura convenzionalmente la differenza di tasso fra il titolo di Stato decennale italiano e quello tedesco. Trattandosi di una «forbice», può essere determinata da due fattori: l'abbassamento del tasso del Bund e l'aumento di quello del BTp. È a quest'ultimo valore, e non tanto allo spread che il risparmiatore deve guardare, perché i prezzi dei titoli si muovono in senso contrario a quelli dei loro rendimenti. Un esempio? Un BTp decennale ha una «volatilità» del 7,58% (è riportata quotidianamente da «Il Sole 24 Ore», oggi a pagina 49): questo vuol dire che il suo prezzo diminuisce del 7,58% per ogni punto percentuale di rialzo del tasso. Quando l'allargamento dello spread è «colpa» dell'Italia il prezzo dei titoli in tasca si riduce e questo può rappresentare un problema per chi è abituato a fare «trading», cioè a comprare e vendere i titoli.
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Vale anche per i BoT?
In teoria il ragionamento è lo stesso, ma gli effetti sulle quotazioni sono molto minori perché i BoT sono titoli a breve scadenza (massimo 12 mesi) e quindi anche molto meno soggetti a oscillazioni di prezzo.
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E se voglio portare i miei titoli fino alla scadenza, quali sono gli effetti?
In questo caso il risparmiatore non deve preoccuparsi, perché la discesa dei prezzi non va a intaccare il valore delle cedole che si riscuotono ogni 6 mesi (queste sono determinate fin dall'inizio, che siano fisse o variabili). Alla scadenza, inoltre, si riceverà comunque l'intero capitale investito. Questo, ovviamente, se nel frattempo non interviene un stato di insolvenza da parte del Tesoro italiano, evento che al momento resta ancora remoto.
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Quindi mi conviene liberarmi dei titoli di Stato che ho in portafoglio?
Vendere adesso significa quasi certamente incassare una cifra inferiore a quanto si è investito. I prezzi di molti titoli del Tesoro sono infatti sotto pressione e sui minimi: ieri, per esempio, il BTp decennale quotava 89,22 centesimi. Se a suo tempo si fossero acquistate obbligazioni per 10mila euro, oggi si incasserebbero addirittura meno di 9mila euro. Sui BoT le perdite potenziali, ammesso che ci siano, sarebbero invece decisamente più contenute.
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E se volessi acquistarne di nuovi?
I rendimenti sono attraenti, specie se confrontati con titoli di Stato francesi o tedeschi, ma occorre ricordare che BoT e BTp non possono più essere considerati investimenti «sicuri» come si faceva un tempo. In ogni caso la decisione deve essere presa guardando al portafoglio complessivo ed è sconsigliabile affidarsi solamente ai titoli del Tesoro.
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Conviene comprare subito i titoli di Stato italiani?
«Aspetterei ancora prima di comprare». Gianluca Gabrielli, direttore degli investimenti di Soprarno Sgr, anche al 6% e passa di rendimento è prudente verso i titoli di Stato italiani: «Il 6% nominale - spiega -, con tutti i problemi che si sono, potrebbe non bastare ai mercati. Giusto per capirci: nel luglio del 2008, cioè prima del crack di Lehman Brothers, l'euro era tranquillo, i tassi erano "normali" e il rendimento di un decennale italiano era al 5,3 per cento. Adesso, a tre anni di distanza, con tutto ciò che è capitato (Grecia, rallentamento economico e crollo delle Borse) e con i rischi che corre la moneta unica, siamo all'1% e rotti in più. Quindi preferisco aspettare prima di investire la liquidità. Anche perché oggi la situazione è diversa rispetto al 2008: il rapporto fra debito e Pil allora era 103, adesso è salito a 120. Questo, messo assieme alla bassa crescita economica e al sostanziale fallimento del tentativo greco di risanare il bilancio pubblico in un contesto recessivo, fa paura.

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