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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2011 alle ore 08:35.
Le banche giapponesi non ne hanno bisogno. Quelle americane sono escluse per definizione, attingono alla Fed. È evidente a chi si rivolge l'iniziativa sulla liquidità in dollari delle sei grandi autorità monetarie. A Eurolandia. E per capire quanto sia preoccupante la situazione basti un particolare: da lunedì, le aziende di credito europee, su decisione della Fed, potranno finanziarsi a un costo (0,50 punti base più il tasso Ois, ieri all'8%) più basso del tasso di sconto (0,75%) rivolto alle banche americane. Cosa che potrebbe apparire persino «sconveniente», come pensa Joseph Abate di Barclays.
La situazione era in effetti diventata complicata: i money funds Usa, spiega Abate, hanno ridotto i flussi di dollari destinati alle banche europee. Quelle francesi, in particolare «hanno perso circa 110 miliardi di dollari in finanziamenti a breve termine da maggio, un calo di circa il 50%. Allo stesso tempo, la durata media di questi prestiti è calata da 44 a sei giorni». Tutto questo malgrado le risorse messe a disposizione dalla Bce, sia pure a un tasso elevato (ieri non a caso ridotto): pochissimi istituti vi hanno attinto, e per "soli" tre miliardi.
L'operazione è però un'aspirina, e niente altro. Colpisce il sintomo ma non la causa, la febbre ma non il virus che l'ha generata. È stata provvidenziale, come ha dimostrato la reazione dei mercati, e in particolare di quello monetario, dove i tassi si sono bruscamente ridotti (pur restando alti): qui pesava persino un fattore "stagionale" come l'avvicinarsi della chiusura dei bilanci.
L'intervento affronta però i problemi di liquidità, non le incertezze sulla solvibilità - per esempio delle banche francesi - che dipendono dall'andamento dei titoli di stato. Andrà completato, a partire da giovedì, da nuovi tagli dei tassi della Bce - il livello del costo del credito a breve termine è, come si è visto, rilevante - con la speranza che possano anche raffreddare il ritrovato entusiasmo dell'euro. Resta il fatto, però, che le responsabilità finali, sui bond, ricadono ancora sui governi.
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