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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2011 alle ore 08:36.

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Il presidente della Bce, Mario DraghiIl presidente della Bce, Mario Draghi

dal nostro inviato Alessandro Merli
FRANCOFORTE. Le sei più importanti banche centrali, guidate dalla Bce e dalla Federal Reserve, hanno lanciato ieri un'azione congiunta per fornire liquidità in dollari a basso costo alle banche europee, che stanno incontrando enormi difficoltà ad approvvigionarsi in valuta. La decisione a sorpresa è un indice della crescente preoccupazione delle banche centrali per il malfunzionamento dei mercati e per i problemi del sistema bancario europeo, ma è anche un segnale ai mercati che sono pronte ad agire insieme. Le misure non possono peraltro risolvere i problemi di fondo della crisi del debito sovrano in Europa.

«Lo scopo di queste azioni - recita una nota delle sei banche (coinvolte anche la Bank of England, la Banca del Giappone, la Banca nazionale svizzera e la Banca del Canada) - è di allentare le tensioni sui mercati finanziari e quindi mitigare gli effetti di queste tensioni sull'offerta di credito alle famiglie e alle imprese e sostenere così l'attività economica». In altre parole, cercare di attenuare una stretta creditizia già in atto.

Le misure principali sono due: 1) la riduzione di 50 punti base del costo degli swap in dollari fra la Fed e le altre banche centrali (il nuovo tasso sarà pari al tasso Ois overnight più 50 punti base) a partire da lunedì prossimo. Gli swap, che erano stati creati allo scoppio della crisi finanziaria globale, vengono prorogati fino al febbraio 2013. La Bce ridurrà anche il margine iniziale delle sue operazioni in dollari a 3 mesi dal 20 al 12%. 2) Vengono creati swap bilaterali nelle altre valute delle banche centrali coinvolte. Al momento, dice il comunicato, ci sono necessità solo di offrire liquidità in dollari, ma, secondo fonti monetarie, le banche europee stanno incontrando difficoltà a reperire liquidità in valuta estera in genere.

Abbassandone il costo, le banche centrali contano che le banche utilizzino maggiormente la liquidità in dollari messa a disposizione, che ha avuto periodi in cui non è stata sfruttata, anche se l'uso è aumentato di recente. L'altro fattore che disincentiva le banche è il timore di mostrare la propria debolezza, anche se i nomi degli istituti fruitori non vengono resi pubblici.

La chiusura dei mercati di raccolta, soprattutto in dollari, per le banche europee è dovuta alla riluttanza delle banche americane a prestare alle controparti europee dopo lo scoppio della crisi del debito sovrano nell'eurozona e alla riduzione dell'esposizione verso le banche europee da parte dei fondi del mercato monetario Usa, altra fonte tradizionale di liquidità per gli istituti del Vecchio continente. Vengono meno quindi alle banche europee le risorse per far fronte al proprio attivo in dollari, che in qualche caso è molto consistente. L'intervento delle banche centrali dovrebbe ovviare a questo problema.

Più in generale, le banche stanno incontrando problemi di raccolta sottolineati anche dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Il mercato interbancario è quasi congelato (lo spread Euribor/Ois ha toccato ieri 99 punti base, il livello più alto dal marzo 2009, un'indicazione della riluttanza delle banche a prestare le une alle altre), i depositi di diverse grandi imprese hanno abbandonato il sistema bancario per rivolgersi, tra l'altro, alla Bce, l'emissione di bond è diventata estremamente problematica, tanto che i Governi dovrebbero dare attuazione alle garanzie per le obbligazioni bancarie decise alla riunione dell'Ecofin di ottobre. Per questo, i mercati prevedono che entro la prossima riunione di consiglio, l'8 dicembre, la Bce annunci finanziamenti più lunghi al sistema bancario (2 o anche 3 anni contro un massimo attuale di 13 mesi) e l'ampliamento del collaterale consegnabile (con la possibile estensione a strumenti in valuta).

L'altra misura attesa dalla prossima riunione della Bce è un taglio dei tassi d'interesse di almeno 25 punti base. Il balzo della disoccupazione nell'eurozona a livelli record (16,6 milioni di persone) conferma che l'economia è in recessione e si prevede che l'inflazione, ferma al 3% a novembre per il terzo mese consecutivo, stia comunque per iniziare a scendere verso il 2%, come indicato dalla Bce.

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