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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2012 alle ore 18:15.

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NEW YORK - Cadono le prime teste eccellenti a JP Morgan per lo scandalo delle perdite sui derivati. E scotta sempre di più anche la poltrona dell'amministratore delegato e presidente Jamie Dimon, che rischia di vedere dimezzate le sue cariche. Le perdite si stanno ancora gonfiando e aumentano la pressione sui vertici dell'istituto: ai 2,3 miliardi già bruciati in poche settimane, venerdì si sono aggiunti altri 150 milioni. Ma il timore è che entro la fine del secondo trimestre le operazioni compiute in particolare su un indice legato al credito aziendale, attraverso credit default swap, possano generare passivi per un altro miliardo di dollari. E che nel corso dell'anno le ripercussioni di quelle medesime scommesse possano alzare il conto totale di un ulteriori miliardo. La somma, a quel punto, supererebbe i 4 miliardi.

Dimon ieri è comparso ieri anche davanti agli schermi televisivi nazionali, in un segno del terremoto politico oltre che finanziario che il gigantesco passo falso di ha messo in moto. JP Morgan era la banca, tra le grandi, ritenuta più in salute e sicura del paese, uscita a testa alta dalla crisi del 2008. E Dimon il nuovo re di Wall Street, in grado di criticare e condizionare le nuove riforme bancarie. Domenica, parlando al programma Meet The Press sulla rete Tv NBC, il top manager si è scusato per quello che ha definito un «errore terribile, madornale».

Potrebbe non bastare, anzi probabilmente non basterà. Lo spettro che, come il leader di JP Morgan, altri protagonisti delle finanza stiano ancora compiendo operazioni irresponsabili o comunque senza adeguata sorveglianza si aggira nuovamente al Congresso e tra le authority. E cresce la richiesta di riforme più rapide e aggressive, a cominciare dalla Volcker Rule che dovrebbe vietare il trading per conto proprio delle grandi banche. Il senatore Carl Levin, sempre a Meet the Press, ha dichiarato senza mezzi termini che le banche stanno "perdendo la battaglia" per togliere mordente alle nuove regole.

Proprio oggi si è levata anche la voce della Casa Bianca. «Quanto successo rafforza l'idea del perché sia così importante approvare la riforma di Wall Steet e applicare la riforma stessa», ha detto il portavoce della Casa Bianca Jay Carney parlando con i giornalisti mentre il presidente Usa Barack Obama si imbarcava sull'Air Force One per raggiungere New York, dove è atteso un suo intervento.

C'è anche di più, per JP Morgan: la Sec e la Fsa britannica - le due autorità che vigilano su Borsa e mercati al di là e al di qua dell'Atlantico - hanno avviato indagini per far luce sulle perdite e le pratiche di trasparenza della banca proprio mentre i suoi vertici potrebbero incrinarsi. In ballo c'è una diminuzione del potere di Dimon. Il sindacato del settore pubblico Associaton of Federal, State and City Municipal Employees, tra gli azionisti di Jp Morgan, ha già presentato una mozione che chiede di separare le cariche di chief executive e di chairman e che dovrebbe essere messa ai voti martedì durante l'assemblea annuale del colosso bancario a Tampa, in Florida.

Il caso, e questo spiega la sua gravità, è nato da un'oscura quanto delicata e influente divisione dell'istituto. Il Chief investment office è stato gestito per anni da Ina Drew, i cui compensi hanno raggiunto i 15 milioni di dollari l'anno, tra i più elevati nella banca. Drew era considerata molto vicina a Dimon. Sua era la responsabilità di gestire, con hedge prudenziali ma anche con operazioni per farlo fruttare al meglio, un gigantesco portafoglio da 374 miliardi. Gli ordini di effettuare hedge agressivi sarebbero partiti dall'alto, anche se la catena di responsabilità, di chi sapeva e approvava, non è ancora stata chiarita. Quel che è chiaro è che alcune scommesse troppo grandi e complesse sono andate molto male molto in fretta.

Dall'ufficio di Londra e dal suo staff internazionale sono partite puntate su un indice del credito aziendale chiamato IG 9: a far precipitare le cose sarebbero state posizioni ottimistiche prese dall'inizio dell'anno sul credito delle imprese, tradotte nella vendita di Cds, contratti derivati di protezione da default, sull'indice. Le puntate sono diventate massicce in primavera e numerosi hedge fund hanno cominciato ad accettare le scommesse, puntando al contrario sul peggioramento del credito che avrebbe fatto scattare pagamenti a favore dei detentori di Cds. Quando questo si è avverato, le perdite per Jp Morgan si sono moltiplicate, salendo a oltre 200 milioni di dollari al giorno.

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