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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2012 alle ore 13:26.

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La natura autodistruttiva del programma greco porta importanti lezioni per gli altri Paesi in difficoltà dell'Eurozona».

Chi è pesato sul debito greco
«Dopo aver accettato sostanziali perdite a seguito della ristrutturazione del debito governativo in marzo, gli investitori privati ora possiedono più di 70 miliardi di obbligazioni governative greche - prosegue Williams -. Gran parte del debito governativo di 300 miliardi di euro della Grecia appartiene ai creditori ufficiali (inclusi circa 45 miliardi di obbligazioni detenute dalla Bce). Di conseguenza una seconda ristrutturazione avrebbe un impatto piuttosto significativo sulle proiezioni del debito se solo venisse coinvolto il settore ufficiale. E vista la reazione negativa pubblica che si creerebbe nelle nazioni creditrici, non è una soluzione che la maggior parte dei governi desiderano abbracciare. Nonostante i recenti progressi di Atene, i commenti ufficiali dall'Eurozona suggeriscono che i ministeri delle finanze non approveranno la prossima tranche del prestito alla Grecia».

Come sarebbe Atene senza euro?
A questo punto, quali sarebbero le ricadute economiche se davvero nel prossimo futuro le autorità europee la abbandonassero al suo destino?
«Provocherebbe nel breve e medio periodo un immenso deflusso di capitali verso l'estero, un crollo totale del sistema bancario (corsa al ritiro dei depositi), un forte aumento delle tensioni sociali, una caduta del Pil e un forte incremento del tasso di disoccupazione. Tali conseguenze sarebbero ancora più gravi se l'uscita fosse disordinata, ovvero non controllata», spiega Filippo Diodovich di Ig.

«È uno scenario che potrebbe oscillare tra l'assenza di risorse per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici al ritorno a una valuta locale e alla capacità della banca centrale di stampare moneta. I rischi di inflazione sono legati sia al valore in valuta locale dell'import sia all'impatto della "monetizzazione" della spesa pubblica», spiega Paolo Balice, presidente di Aiaf, Associazione italiana degli analisti finanziari.

Per Nicolò Nunziata, strategist di Jc&Associati «l'uscita di un Paese va pianificata e preparata. Altrimenti si rischierebbe il caos. Se Atene dovesse rispettare il budget appena approvato, dal prossimo anno sarà in surplus primario, con le entrate in grado di superare le uscite. A quel punto, soprattutto se l'Europa permettesse una riduzione del debito e degli oneri finanziari, il Paese dopo avere svalutato potrebbe ricominciare a crescere. Si tratterebbe perciò di una uscita ordinata».

A parer di Paganini «nel caso in cui dovessimo assistere a un'uscita della Grecia dall'euro dovremmo considerare l'enorme ammontare di debito che la popolazione si troverebbe a dover ripagare. Questo è il punto da cui partire, un debito che verrebbe riconvertito in valuta nazionale che vedrebbe una consistente svalutazione non appena introdotta (stimabile tra il 55% ed il 65%). La svalutazione della dracma farebbe scendere anche il Pil (che attualmente gira intorno ai 200 miliardi l'anno) andando a compromettere ulteriormente le capacità di ripagare i debiti esteri. Nel breve periodo è dunque possibile assistere a forti vendite di dracma che avrebbero un effetto depressivo (inizialmente), una possibilità che dev'essere prontamente combattuta tramite la stampa di moneta liquida da iniettare nel sistema. Stampando moneta si potranno stipendiare i dipendenti pubblici e statali, permettendo alla macchina burocratica di rimanere in piedi e un'ipotesi da non sottovalutare sarebbe quella che prevede il riacquisto di debito estero e l'offerta di tassi remunerativi per il mercato, ai quali rifinanziarsi - continua Paganini -. Nel medio periodo l'aumento delle esportazioni permetterebbero di rimettere in moto il volano economico, permettendo di tornare nel giro di una decina d'anni a livelli di crescita sostenibili che potranno vedere, poco a poco, un ridimensionamento degli alti tassi che inizialmente si dovranno scontare sul mercato, tassi che se comparati agli attuali risultano essere anche accomodanti».

Le conseguenze - secondo Alexandre Hezez, direttore investimenti di Convictions Am - «nessuno le sa esattamente, ma sicuramente sarebbero catastrofiche e non è un caso che la maggioranza della pubblica opinione greca voglia restare nell'euro. Svalutazione di una nuova eventuale "neo-drachma" del 60% almeno, fallimenti a catena, iperinflazione, crollo del potere d'acquisto della popolazione, dissoluzione di uno stato già altamente disfunzionale, rischio di ritorno di regimi più o meno autoritari e di espulsione dall'Unione Europea».

twitter.com/vitolops

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