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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2013 alle ore 07:21.

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(Corbis)(Corbis)

L'Abenomics funziona. Da quando la Banca centrale del Giappone (4 aprile) ha varato un piano per raddoppiare la base monetaria dal 28% a l 56% del Pil nell'arco dei prossimi due anni acquistando titoli di Stato per un controvalore di 1.400 miliardi di dollari l'economia nipponica è ripartita. Nell'ultimo trimestre il Pil è cresciuto su base annua del 3,5%, la disoccupazionè è calata al 4,1%, forte anche di una "svalutazione competitiva dello yen" del 30%.

L'obiettivo della manovra è quello di inondare di liquidità il sistema, indebolire il cambio e ridare spazio ai margini di profitto dell'industria esportatrice, spingere le aspettative di inflazione al rialzo e spingere i consumatori a consumare di più anziché attendere il futuro ribasso dei prezzi assicurato da una consolidata deflazione pluriennale. Se ci saranno maggiori consumi le imprese aumenteranno profitti e occupazione e con essa avremo anche maggiore inflazione salariale creando un circolo virtuoso

In questo contesto la Borsa di Tokyo continua a macinare rialzi (+76% da novembre). L'indice Nikkei ha superato agevolmente i 5mila punti salendo al top degli ultimi cinque anni, sorpassando (non come capitalizzazione ma come valore nominale) il Dow Jones statunitense che pure - alimentanto da una politica simile di espansionismo monetario adottata dalla Federal Reserve che sta acquitando titoli di Stato e titoli legati ai mutui per un controvalore di 85 miliardi al mese - ha aggiornato i massimi storici.

Del resto, anche negli Usa l'economia reale sta crescendo. Nel primo trimestre l'economia americana è cresciuta del 2,5%, un dato inferiore alle attese (+3%), ma certamente superiore all'andamento dell'Eurozona che invece continua a perdere colpi e dove la sola Germania (+0,1% nel primo trimestre) ha evitato l'imbuto della recessione tecnica (due trimestri consecutivi). Europa che non sta partecipando alla festa dell'iniezione monetaria anche perché la Banca centrale europea - concentrata unicamenta per statuto su un inflation targeting entro l'orbita del 2% e "disinteressata" al contenimento della disoccupazione - non figura come prestatore di ultima istanza e non può quindi acquistare titoli di Stato sul mercato primario (salvo che un Paese chieda esplicitamente aiuti attivando la nuova precedura prevista da scudo anti-spread e piano Esm, European stability mechanism).

Sintentizzando, mentre Usa e Giappone stanno implementando una sorta di keynesianesismo finanziario (secondo l'economista scozzese l'aumento della spesa pubblica nelle fasi di crisi deve innaffiare direttamente l'economia reale e le infrastrutture mentre la strategia attuale di New York e Tokyo innaffia di nuova liquidità il settore finanziario senza garanzie dirette che questa abbracci le imprese e il risanamento) l'Europa fatica a scollarsi da politiche di austerity praticate negli ultimi anni limitandosi nelle ultime uscite a prorogare per due anni (nel caso di Francia, Olanda e Spagna) i tempi di rientro verso un deficit/Pil al 3%. A parte questo, di politiche incisive per ridurre il tasso di disoccupazione (che si attesta intorno al 12% quando era sotto l'8% prima dello scoppio della crisi nel 2008) non si intravede, al momento, l'ombra.

Ma chi ha ragione? Chi sta percorrendo la via migliore? Gli spendaccioni Stati Uniti e Giappone che stanno inondando i mercati di liquidità gettando le basi per nuove bolle finanziarie (e per impennate future dell'inflazione) o la rigida Unione europea le cui istituzioni finanziarie vedono l'inflazione come un incubo e il primo mostro da combattere ad ogni costo, anche se questo costo significa spingere all'insù la disoccupazione?

Cosa può fare l'Eurozona
«Per l'Eurozona è difficile seguire l'esempio di Stati Uniti e Giappone sul fronte del quantitative easing, semplicemente perché non ha una direzione unitaria ma è composta da stati con numeri, prospettive e strategie diverse tra loro - spiega Nicolò Nunziata, strategist di Jc&Associati -.Il peggioramento prospettico dei conti della Germania nondimeno ha smussato le posizioni, per cui è probabile che la Bce riuscirà a mantenere la liquidità elevata, se non addirittura a creare nuova base monetaria. I tassi di deposito negativi renderanno l'euro meno appetibile, aiutando in prospettiva le esportazioni, sempre più a rischio dopo la recente azione della BoJ. Non essendo realistico ipotizzare che l'Europa seguirà pedissequamente la politica monetaria del Giappone, nondimeno è probabile che con lo spostamento del focus dei governi sulla crescita economica la Bce contribuirà ad indebolire la valuta, condizione necessaria benché non ancora sufficiente per uscire dalla stagnazione».

Secondo gli esperti di Alliance Bernstein «la Banca Centrale europea ha abbassato i tassi di 25 punti base, portandoli allo 0,5%. Questo intervento non ha contribuito, tuttavia, al miglioramento dell'attività dei prestiti nei Paesi della periferia. Anche se la Bce ha manifestato l'intenzione di voler discutere con altre istituzioni europee per comprendere meglio come poter rilanciare i prestiti, le possibilità di un cambiamento reale nel prossimo futuro sono remote. Inoltre L'Europa non sembra intenzionata a voler adottare un programma di acquisto degli asset, come è stato fatto di recente da Stati Uniti e Giappone. Il rilancio dei prestiti sembra poter avvenire solo tramite il canale dei tassi di interesse nel Vecchio Continente. Draghi ha annunciato che la Banca Centrale potrebbe portare a livelli negativi i tassi sui depositi, una decisione che potrebbe risultare efficace per l'economia ma ha evidenziato anche i limiti della politica monetaria».

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