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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2013 alle ore 09:23.
L'ultima modifica è del 08 novembre 2013 alle ore 10:50.
Attenua il rischio-deflazione, sgonfia i danni derivanti al nostro export dal maxidollaro; favorisce, in prospettiva, lo sganciamento europeo dalla traiettoria della politica monetaria americana. Gli economisti convengono sui vantaggi per l'economia italiana connessi alla scelta della Bce di Mario Draghi di ridurre al minimo storico dello 0,25% il tasso benchmark sulle operazioni di rifinanziamento; ma non si fanno troppe illusioni sull'effettiva possibilità di ottenere, con questa sola dose, un abbassamento del costo del denaro per famiglie e imprese e un loro accesso più ampio al credito.
Aiuto tenue alla crescita
«I paesi periferici dell'Eurozona avevano dato chiari segni di deflazione - osserva Fedele De Novellis, economista del Ref di Milano - e anche gli ultimi dati sull'inflazione in Italia erano molto bassi, soprattutto se si tiene conto del rialzo dell'aliquota dell'Iva. Si stava rischiando la deflazione dei debitori, per i quali la frenata dei prezzi fa crescere il costo reale dell'indebitamento. In questo modo si è evitato di aggiungere la restrizione monetaria alla restrizione della domanda già in atto». Quanto all'effetto di sostegno sui prestiti per famiglie e imprese «certamente, se ho un mutuo indicizzato, il costo si abbasserà di "un quartino". Ma in questa fase la trasmissione della politica monetaria non funziona bene e sui nostri tassi a lunga grava tuttora uno spread consistente». Insomma, attraverso l'impulso della politica monetaria l'aiuto alla crescita economica italiana sarà tenue, secondo l'economista.
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Il cambio sul dollaro
Il sostegno al Pil più concreto verrà invece dalla riduzione del valore del dollaro. Spiega Gregorio De Felice, chief economist di Intesa-Sanpaolo: «Credo che tra le ragioni non dette del taglio dei tassi ci sia l'intento di indebolire la forza dell'euro. Una moneta troppo forte riduce la competitività delle esportazioni, ostacola il modello di crescita export led che caratterizza la nostra economia così come quella tedesca». Inoltre, aggiunge De Felice «tagliare i tassi e dire che l'intonazione della politica resterà accomodante a lungo permetterà, in futuro, il decoupling, lo sganciamento dai tassi americani quando questi ricominceranno a salire. Uno sganciamento è del resto reso necessario dalla sfasatura del ciclo economico: la crescita europea nel prossimo biennio sarà del 2,5% mentre quella prevista in Usa è pari al 6%».
La debolezza dell'Europa
«Il taglio dei tassi conferma la debolezza della congiuntura europea; è una mossa necessaria, ma probabilmente insufficiente» taglia corto Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma, secondo il quale «l'Eurozona necessita di una politica monetaria più espansiva che persegua in modo credibile e per alcuni anni un target d'inflazione più elevato del 2%. Questo si presenta necessario per accomodare il riequilibrio competitivo tra Germania da un lato e paesi periferici dall'altro, senza indurre in questi ultimi una deflazione, ovvero una flessione del livello generale dei prezzi».
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