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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2014 alle ore 07:43.
L'ultima modifica è del 24 febbraio 2014 alle ore 18:37.

(mini)Patrimoniale
Il sottosegretario Derio è stato chiaro: «Il governo Monti introdusse la patrimoniale perché il Paese aveva bisogno di sistemare i conti». Ergo, come ha detto in tv, non facciamo la patrimoniale perché non siamo in emergenza. Oppure: non si fa la patrimoniale se non in emergenza. Lo siamo? Il fiscal compact in vigore tra pochi anni impone un taglio del debito pubblico italiani di almeno una quarantina di miliardi, se non riusciremo a ottenere una moratoria dall'Europa. Ma anche al netto di questo scenario, negli ultimi mesi ci sono state molte esercitazioni su possibili aumenti dei prelievi sulle consistenze mobiliari e immobiliari dalle tasche degli italiane. I numeri dicono che negli ultimi due anni e mezzo si è triplicato il gettito da risparmio e investimenti a quasi 18 miliardi di euro. Solo il gettito derivante dal rialzo al 2 per mille del prelievo patrimoniale dalle consistenze finanziarie porta nelle casse dello Stato 1,2 miliardi di euro.
Le condizioni
Alzare le aliquote per aumentare il gettito non è impossibile, a patto di prendere in considerazione alcuni fattori:
1) Più si alza l'aliquota e più si rischia di tagliare il ramo su cui lo stesso Fisco è seduto; per non parlare del rischio di incentivare il nero, l'elusione e l'evasione fiscale.
2) Non sarebbe certo indigeribile aumentare la tassazione sia sui patrimoni che sui rendimenti già in essere, se si spiega ai cittadini che ciò serve ad abbassare il cuneo fiscale e rendere per esempio il lavoro più conveniente.
3) La cosa funziona se lo switch off è ben organizzato: il passaggio dalla lira all'euro e dal Tfr in azienda ai fondi pensione hanno mostrato più di una falla di organizzazione e di contenuto; a differenza di questi due casi qui ci sarebbe però il favore del pubblico, cioè degli italiani destinatari del provvedimento. Ma si sa che bastano poche ingenuità per incrinare quella che è una merce rara, sia per i mercati finanziari che per quelli politici: la fiducia.
L'ambizione
Ma come si diceva la questione non riguarda solo il travasare gettito e rimodulare aliquote: per molti è fondamentale rimodulare anche gli obiettivi di risparmio per frenare il deflusso di risparmio dall'Italia ai mercati internazionali. Il che consentirebbe di fornire al sistema imprese quella liquidità che la crisi impedisce alle banche di fornir loro nelle misure pre-crisi. È il meccanismo dei mini-bond, ancora agli albori e che in ogni caso rimane in qualche modo nell'alveo dell'intermediazione bancaria. Ma di più, uno Stato come quello italiano che ha introdotto la Tobin Tax con estrema (eccessiva) sollecitudine, rispetto ai partner europei, non può sottrarsi dal compito di incentivare forme di risparmio di lungo termine, rendendole convenienti. Una realtà finora limitata ai pochi aderenti di fondi pensione, che tra l'altro temono di perdere questa agevolazione (detrazione dei versamenti fino a 5164,57 euro l'anno e imposizione massima del 15 al momento del pensionamento); e a una petizione promossa dall'ex presidente di Assogestioni Domenico Siniscalco caduta però nel vuoto. Coerenza e consequenzialità vorrebbe che il governo Renzi mettesse mano al dossier, incentivando nuovo risparmio di lungo termine o rendendo per esempio obbligatorio quello previdenziale – ed estendendo di fatto questa agevolazione fiscale a tutti i lavoratori, quanto meno -, senza paura di apparire paternalisti o illiberali. Ricette analoghe e ancor più incisive di queste sono state teorizzate negli Usa dagli economisti non proprio vicini a Obama (Thaler e Sunstein), o messe in campo nella liberale Inghilterra, con il progetto Nest.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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