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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2014 alle ore 09:03.
L'ultima modifica è del 20 marzo 2014 alle ore 22:07.

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Wall Street ha chiuso in rialzo per la terza volta in questa settimana, sostenuta da una serie di buoni dati sul fronte macroeconomico americano. I miglioramenti nell'occupazione e nel manifatturiero hanno infatti messo in secondo piano i timori di un aumento dei tassi d'interesse da parte della Fed a metà del prossimo anno, emersi dopo la conferenza stampa di ieri di Janet Yellen. Il Dow Jones ha guadagnato lo 0,54%, il Nasdaq ha aggiunto lo 0,15% e lo S&P 500 é salito dello 0,49%.

Bene anche il FTSE MIB di Milano (+0,56%) dopo che gli indicatori macro giunti dagli Usa hanno confermato o battuto le attese degli analisti, contribuendo a ridimensionare le paure generate 24 ore fa dalla Fed e le loro ricadute sui corsi azionari

La giornata borsistica si era aperta all'insegna della prudenza sui mercati europei dopo il tonfo di Tokyo provocato dai messaggi piuttosto confusi dati ai mercati ieri sera dalla neopresidente della Federal Reserve Janet Yellen che - pur cercando di non lanciare segnali di evidente discontinuità - aveva annunciato che il programma di aiuti all'economia attraverso l'acquisto di asset da parte della banca centrale Usa potrebbe cessare già in autunno e un primo rialzo dei tassi d'interesse arrivare sei mesi più tardi.

Notizia che in mattinata ha impresso un'accelerazione alle vendite fino a che dagli Usa, come detto, sono arrivati i dati sull'andamento della prima economia del pianeta. Le richieste iniziali di sussidi di disoccupazione sono cresciute la scorsa settimana di 5mila unità a quota 320mila in linea con le attese degli analisti. Il superindice dell'economia americana è cresciuto in febbraio dello 0,5% dopo il rialzo dello 0,3% registrato in gennaio, battendo le attese. La vendita di case esistenti negli Usa è scesa dello 0,4% a febbraio, al tasso di 4,6 milioni di unità, ai minimi dal luglio 2012 e in linea con le attese, mentre l'indice delle attività economiche dell'area di Filadelfia è salito in marzo a 9 punti dai -6,3 di febbraio. Le attese degli analisti erano per una lettura del dato a quota 3,5 punti. In rialzo, grazie a questi dati, sia l'indice S&P 500 che il NASDAQ 100. Bene Microsoft, sullo slancio del prossimo sbarco sul mercato di una versione della sua suite Office per l'iPad.

Nonostante i guadagni di Milano, la seduta si è chiusa piuttosto contrastata nel resto d'Europa con i principali listini CAC 40, DAX 30 e FT-SE 100 in ordine sparso. A Piazza Affari Finmeccanica è partita male, ma poi ha subito virato al rialzo diventando il titolo migliore del Ftse-Mib. Contrastate le banche (bene Mediobanca, male Banca Pop Mi) In ribasso A2a. Fuori dal paniere principale, Salini Impregilo è in progresso subito dopo la comunicazione dei conti 2013 e il piano al 2017.

Chiusura in flessione, dicevamo, per la Borsa di Tokyo. In vista di un lungo week-end festivo (venerdì la Borsa giapponese resterà chiusa) l'indice NIKKEI 225 ha registrato una perdita di 238,29 punti (-1,65%). In calo anche l'indice Topix, che ha accusato una perdita dell'1,58% (-18,36 punti) terminando la seduta a 1.145,97 punti parte. Abbastanza vivaci gli scambi, con 2.420 milioni di titoli parti passati di mano. Male anche il resto dell'Asia: a Shanghai il Composite Index ha ripiegato dell'1,40%, mentre a Hong Kong l'indice HANG SENG ha perso l'1,79%. Tutti gli emergenti sono in difficoltà: l'indice Msci Emerging Markets in mattinata perdeva l'1,3%, la flessione più vistosa dallo scorso 3 marzo, anche per via del fatto che un rialzo dei tassi negli Stati Uniti avrebbe l'effetto di drenare risorse da una serie di Paesi in via di sviluppo.

Tra le obbligazioni lo spread tra i titoli di Stato italiani e tedeschi a 10 anni resta sotto la soglia dei 180 punti base a 178, mentre l'equivalente forchetta tra Bonos e Bund rimane più stretta a quota 172. Tra i titoli di Stato stranieri le obbligazioni statunitensi a 2 anni hanno registrato un'impennata dei rendimenti (di 8 punti base) come non accadeva dalla metà del 2011.

Sul fronte valutario l'effetto più vistoso delle parole di Janet Yellen è stato l'ulteriore rafforzamento del dollaro Usa sceso sotto quota 1,38 contro l'euro (massimi da due settimane), dopo aver sfiorato la soglia psicologica dell'1,40 nei giorni scorsi.

Il petrolio scivola dello 0,50%: il contratto ad aprile - in scadenza oggi - è in ribasso di 50 centesimi a 99,87 dollari al barile. L'oro è in ribasso dell'1,14%: i future con scadenza ad aprile arretrano di 16 dollari a 1.325 dollari l'oncia. Stessa dinamica per il rame, flessione esacerbata - in questo caso - anche da una possibile stretta creditizia in Cina.

In ambito di politiche monetarie, c'è da segnalare che la banca centrale svizzera ha lasciato invariati sia i tassi d'interesse che il backstop (tasso fisso minimo) sul cambio euro/franco svizzero a 1,20 specificando di essere «pronta a comprare quantità illimitate di valuta estera» per contrastare movimenti del cambio che portassero l'euro a scivolare sotto quota 1,20 determinando una rivalutazione indesiderata del franco.

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