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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2010 alle ore 19:54.
ANGELO PANEBIANCO, POLITOLOGO
«Il giorno dell'11 settembre mi trovavo a casa e stavo per mettermi a lavorare quando ho saputo dell'attacco alle torri e, come moltissimi italiani, mi sono messo davanti alla tv a seguire tutti gli aggiornamenti della vicenda, rimandando il mio lavoro di quel momento. Oggi non possiamo ancora sapere ciò che gli storici in futuro diranno di questo drammatico evento della storia, ma per ora possiamo dire con certezza che ha segnato una discontinuità radicale con il mondo precedente, da poco uscito dalla Guerra Fredda.
Gli anni successivi alla caduta del muro di Berlino sono stati anni di grande ottimismo, di democratizzazione, di riduzione delle spese militari. È stata chiamata anche una "nuova belle epoque". L'11 settembre ci ha spostati in blocco, invece, in un altro mondo, un mondo peggiore, dove la guerra è tornata prepotentemente alla ribalta. Insomma, da una fase di grande entusiamo e cambiamento, ci siamo tutti resi conto che le conseguenze dell'attacco alle torri di New York sono state gravi e pesanti, come dimostra la guerra che prosegue in Afghanistan, figlia diretta dell'11 settembre». (Testo raccolto da Massimo Donaddio)
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