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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2011 alle ore 14:16.

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L'infinito 11 settembre dei tributi musicali. La cover del disco dei Dream TheaterL'infinito 11 settembre dei tributi musicali. La cover del disco dei Dream Theater

Musicalmente parlando, l'11 settembre 2001 non sembrava certo una data destinata a passare alla storia. Due le principali uscite discografiche di artisti statunitensi previste per quel giorno: il ritorno dopo quattro anni di silenzio di Bob Dylan, con l'album «Love and theft», e il triplo live (auto)celebrativo della band di progressive metal Dream Theater.

Alla fine, invece, persino quest'ultimo lavoro suo malgrado passerà alla storia: la band lo ritira dalle vendite in fretta e furia. Motivo: il titolo «Live Scenes from New York» rimandava a una copertina, programmata con mesi di anticipo, con le Torri avvolte dalle fiamme del Sacro Cuore, ossia il simbolo degli stessi Dream Theater. Quando uno dice le curiose coincidenze della vita. Di fronte al rischio di risultare di irrispettosi delle vittime o, peggio, di passare addirittura per jettatori tanto valeva fare dietrofront: uscita posticipata, ovviamente con cover diversa.

La corsa ai concerti tributo. La tragedia di Ground Zero, tuttavia, entra nella storia della musica popolare soprattutto per lo strascico di memorial che si porta dietro. Il primo in ordine di tempo si chiama «America: a Tribute to Heroes», è datato 21 settembre, organizzato addirittura da George Clooney, trasmesso in mondovisione da studi televisivi di New York, Los Angeles e Londra, ma soprattutto destinato a raccogliere fondi per vittime, vigili del fuoco e police department della Grande Mela con la formula Telethon. E con cd e dvd che lo immortalano. Tra le performance più famose, Neil Young che esegue per la prima volta la lennoniana «Imagine», gli U2 con Dave Stewart e Natalie Imbruglia alle prese con «Walk on» e soprattutto Bruce Springsteen che per l'occasione compone «My city of ruins».

La risposta di Macca. Anche Paul McCartney, che il giorno della strage fu tra i tanti viaggiatori che rimasero bloccati al JFK Airport per la sospensione dei voli, contribuisce a suo modo: per il 20 ottobre al Madison Square Garden organizza «The Concert for New York» con un'altra memorabile sfilza di superstar votate alla causa. David Bowie rifà a modo suo la leggendaria «America» di Simon & Garfunkel, i vecchi Who rispolverano «Won't get fooled again» ed Elton John esprime con «I want love» il suo desiderio di amore universale. Intensa la «Salt of the Earth» che Mick Jagger e Keith Richards, in trasferta dagli Stones, portano in dote mentre il padrone di casa va sul sicuro con «Yesterday» e poi ad hoc escogita «Freedom». Pure da qui escono cd e dvd il cui ricavato andrà in beneficienza.

Che altro posso dare? Il giorno successivo all'evento organizzato da Sir Paul, all'RFK Stadium di Washington DC si replica in salsa decisamente più pop con «United we stand: what more can I give?» dove troneggia un vecchio habitué della beneficienza canora: tale Michael Jackson. È lui a guidare il coro di superstar che si chiedono «What more can I give?» (alla lettera: «Che altro posso dare?». Ed è proprio il caso di domandarselo, considerato il ricorso spinto di quei giorni alla formula del live benefit). Tra i vip che aderiscono alla partita, Mariah Carey, Carol King e persino vere e proprie icone del politically uncorrect come gli Aerosmith e James Brown, quest'ultimo addirittura con trascorsi penali per violenza sulle donne.

L'«Ascesa» del Boss. Poi ci sono i pezzi (e gli album) direttamente dedicati alla strage. Nel segno dell'11/9 è per esempio «The Rising», l'album del 2002 con il quale Bruce Springsteen torna a farsi accompagnare dalla storica E Street Band. Bon Jovi, del New Jersey come il Boss, ci mette del sentimento in «Undivided», rockettino patriottico che pare non sia dispiaciuto a George W. Bush. Per quanto siano originari della Georgia pure i R.E.M. nell'album del 2004 «Around the Sun» si accorgono che, dopo il crollo delle Torri, lasciare New York non è mai facile (da qui il singolo «Leaving New York»). Omaggio un po' ermetico e, forse per questo, meno scontato di tante altre cose che si sono ascoltate sul tema.

Il giorno in cui hanno ferito New York. Tra i padri nobili del songwriting americano si segnala però soprattutto Leonard Cohen che lancia a modo suo i titoli di coda sulla strage con la breve e struggente «On that day». Tanto per capire che aria tira: «Certa gente dice/ che ci odia da tempo/ le nostre donne senza velo/ i nostri schiavi e il nostro oro/ non saprei/ sto solo difendendo il forte/ ma rispondetemi a questo/ non vi porterò in tribunale:/ siete impazziti/ o avete fatto rapporto/ il giorno in cui hanno ferito New York?». Per quanti credono che l'arte non debba dare risposte, ma porre altri interrogativi. Anche dopo l'11 settembre.

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