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Per l'India sospesa tra super crescita e corruzione il sorpasso sulla Cina suona fin troppo annunciato

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2010 alle ore 17:10.

L'India campione dell'IT; la "Shining India" degli orgogliosi signori del business, dai Tata agli Ambani di Reliance; i brulicanti campus delle università e delle business school che scalano le classifiche internazionali anno dopo anno; il governo dell'anziano Manmohan Singh padre delle riforme indiane; i 14 milioni di abitanti della congestionata New Delhi e quelli della tecnologica Bangalore; i pionieri della green economy, a partire da Tulsi Tanti, fondatore della Suzlon e re dell'eolico. Insomma gli attori e i (più o meno) beneficiati del "sorprendente miracolo economico dell'India", cui l'Economist in edicola dedica il servizio di copertina.

Tutti si sono battuti per ospitare e hanno atteso i 19mi Giochi del Commonwealth che domani apriranno i battenti nella capitale del Subcontinente. I primi in India e i secondi ospitati in terra asiatica, dopo quelli di Kuala Lumpur (Malaysia) nel lontano 1998.

Giochi che nel secolo dell'Asia e del confronto tra i due big della regione, India e Cina, avrebbero dovuto - sia pure a un rango minore - dimostrare quanto l'elefante indiano avesse recuperato nei confronti del drago cinese in efficienza e immagine a livello globale. Una corsa accelerata verso nuovi primati di sviluppo e innovazione, che a lungo ha fatto discutere i think-tank del globo su un possibile sorpasso sul filo di lana della storia e della globalizzazione ad opera dell'ex colonia britannica, con la sua democrazia, l'eredità della lingua inglese, un Dna matematico per i suoi ingegneri sparsi in giro per il mondo, l'inclinazione al business che ha fatto la fortuna di milioni di agguerriti imprenditori privati.

Ebbene il punteggio, per ora, è 0-1 a favore della Cina. «Shame Games», i giochi della vergogna, hanno titolato i giornali indiani (certo ben più liberi di quelli cinesi) di forte ai danni causati dalla corruzione e dal pressapochismo nella preparazione dell'evento internazionale, cui peraltro (nonostante minacce di ritiro più o meno esplicite) parteciperanno in forze le squadre di 72 paesi, a partire da quella inglese con i suoi 500 partecipanti. Ma la "Shining India" degli slogan di comunicazione per gli anni Duemila, oggi appare invero meno splendente. Il miracolo, almeno in superficie, un po' appannato.

Si vedrà di qui al 14 ottobre se per atleti o organizzatori saranno giorni di passione o meno. Certo, c'è un che di italiano in tutto ciò, un sapore acre di Expo 2015 in salsa milanese. Un «tanto alla fine ce la caveremo comunque» che risuona all'unisono in realtà pur così distanti, e che però appare lontano anni luce dall'efficienza quasi scientifica dell'organizzazione delle Olimpiadi di Pechino (2008) e dell'Expo 2010 di Shanghai.

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Tags Correlati: Asia | Deng Xiaoping | Economist | Indira Gandhi | Manmohan Singh | Politica | The Commonwealth | The Shining

 

«How India's growth will outpace China's». A questo punto il titolo di copertina del britannico Economist, che spiega al mondo come la crescita indiana supererà quella cinese, suona quasi come un supporto psicologico per l'ex colonia.

Certo il miracolo indiano, sul fronte economico, c'è tutto. Il Pil è previsto crescere dell'8,5% a fine anno fiscale (per l‘India il prossimo marzo). Alcuni analisti stimano, e non da oggi, che New Delhi supererà per crescita Pechino entro il 2013. E altri predicono che, tra le grandi, l'India sarà l'economia che crescerà più velocemente nei prossimi 25 anni.

Il miracolo non è peraltro una novità. È stato favorito dall'apertura negli anni 2000 di un'economia a lungo arroccata su uno sviluppo interno trainato dalla domanda di consumi e dagli investimenti specie nel settore IT, a differenza della grande apertura cinese ai capitali del resto del mondo come motore dell'export avviata dalle politiche del "socialismo di mercato" di Deng Xiaoping a fine anni '70. Un modello quello indiano che, in ogni caso, nel dopo Grande crisi ha anch'esso attirato l'attenzione degli investitori stranieri (specie giapponesi e sudcoreani) che puntano proprio sulla forza della domanda interna, vero totem di questa ripresa senza occupazione e dai consumi deboli.

Resta però il peso del ritardo accumulato negli anni della chiusura, specie sul fronte della modernizzazione del paese rispetto alla Cina. A partire da una rete di infrastrutture del tutto inadeguata per un paese che vuole giocare una partita da protagonista sulla scena mondiale. E per ora, paradossalmente, è a Pechino che il governo di Manmohan Singh si rivolge per investire nel massiccio progetto di costruzione di strade e autostrade del Subcontinente (fatta eccezione per le aree strategiche del Nord-Est, Jammu e Kashmir). La liquidità cinese, del resto, è ben superiore a quella delle provate economie industrializzate del Nord del mondo.

Nell'era della globalizzazione i tempi e le dinamiche di sviluppo sono sempre più veloci e imprevedibili. Ma proprio di questi tempi per vincere occorre dare sostanza ai progetti e alle ambizioni. Il sia pure avveniristico terzo terminal dell'aeroporto internazionale Indira Gandhi di New Delhi non può bastare come moderno biglietto da visita di un paese ancora troppo sospeso tra il futuro hi-tech nell'era della conoscenza e un passato fatto di corruzione, burocrazia paralizzante, strade impraticabili, black-out energetici, povertà e analfabetismo ancora a livelli troppo alti per un paese moderno e "democratico". Di tanti altri miracoli avrà bisogno l'India. E la Cina (ormai seconda economia mondiale) non sta a guardare.

cristaldi.sara@gmail.com

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