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Ecco Flexblue, la mini centrale nucleare sottomarina su cui ora punta la Francia

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2011 alle ore 16:15.

PARIGI – A prima vista sembra un sottomarino. E, invece, è un minireattore nucleare, installato su un fondo oceanico. Flexblue, il suo nome, per il momento è solo un disegno e il frutto di approfonditi studi di ingegneria (già due anni di lavoro). Ma il progetto dovrebbe concretizzarsi davvero. «E' un concept innovativo - ha dichiarato stamani Patrick Boissier, amministratore delegato di Dcns, l'azienda che ne è all'origine -. Potrà, almeno lo speriamo, rafforzare la preminenza del nucleare francese».

Eccola, quindi, la nuova frontiera dell'atomo made in France, il reattore sottomarino. L'anno scorso i russi di Rosatom avevano presentato il loro minireattore galleggiante, ma qui siamo un passo in avanti, anche e soprattutto per la sicurezza. Ma cominciamo con le presentazioni. Flexblue, dalla forma cilindrica, sarà lungo circa 100 metri e largo 15. Peso, appena (si fa per dire) 12mila tonnellate. Controllato a distanza dalla terraferma, potrà essere calato sott'acqua fra i 60 e i cento metri di profondità. Verrà trasferito via nave. Fabbricato nei cantieri di Cherbourg della Dcns, potrà farvi ritorno per eventuali riparazioni e controlli. La potenza? Fra i 50 e i 250 megawatt. Come sottolineano alla Dcns, ideale per alimentare isole o città relativamente isolate (pensiamo a Tangeri, in Marocco, o a Malta). Si tratta di un possibile bacino di clienti compreso fra i 100mila e un milione.

Siamo, insomma, nel campo dei piccoli e medi reattori nucleari, che stanno stanno ritornando alla ribalta. A lungo i francesi si sono incaponiti a vendere il loro Epr, il megareattore di terza generazione, da 1650 megawatt. È lo stesso che dovrebbe essere installato sul suolo italiano sulla base di un accordo concluso da Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy del febbraio 2009. L'immagine dell'Epr, però, è sempre più compromessa a livello mondiale. A parte i dubbi sulla sua reale sicurezza, è troppo costoso (tanto più in questi tempi di crisi o debole ripresa) e in certi casi troppo potente.

Troppo tutto: non è che per andare veloci in autostrada ci vuole per forza la Ferrari. E così perfino il gruppo Areva, che ha concepito l'Epr, si è messo a collaborare con il connazionale Gdf Suez su un altro reattore, più piccolo, da 1.100 megawatt, l'Atmea. Quanto a Edf, ancora un colosso energetico francese, sta collaborando nel settore con i cinesi di Cgnpc. Ci si è messo addirittura Bill Gates, il fondatore di Microsoft: si è associato con i giapponesi di Toshiba per sviluppare le piccole centrali.

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Ecco ora apparire in scena Dcns. Da una parte, una sorpresa. Si tratta dei cantieri navali militari, ancora in mani pubbliche. Apparentemente niente a che fare con questo tipo di prodotti. Le ultime stime indicano che nel 2010 Dcns avrebbe accresciuto il suo fatturato per la prima volta dopo parecchi anni (dai 2,4 miliardi di euro del 2009 a 2,5). Ma la situazione dell'azienda resta altamente traballante. Per questo l'idea di riconvertirsi nel nucleare. Ma partendo dal proprio know how: non bisogna dimenticare che Dcns ha un'esperienza più che quarantennale nei sottomarini a propulsione nucleare. Boissier, l'amministratore delegato, ha ammesso oggi che sta negoziando con Areva e Edf per associare i due gruppi al progetto e arrivare alla fabbricazione di un prototipo.

Il costo di un minireattore di questo tipo, ha assicurato, «ammonterà a qualche centinaio di milioni di euro»: una cifra ben diversa dai cinque miliardi (almeno) necessari per acquisire un Epr. Altri vantaggi di Flexblue? Risparmi sull'installazione (non necessaria la centrale vera e propria di cemento armato e altri materiali). E la sicurezza, «a causa della protezione naturale del mare», ha precisato il manager. «La caduta sul posto di un aereo o di un missile verrebbe frenata dall'acqua, che è pure la migliore barriera contro il propagarsi delle radiazioni». Ma continuerebbe a produrre scorie nucleari (attualmente al centro di feroci polemiche in Francia), a differenza di un impianto eolico in mare.

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