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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2011 alle ore 10:48.

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Fermarsi a Eboli e arrivare a New YorkFermarsi a Eboli e arrivare a New York

L'esilio, frutto della sua opposizione alla dittatura, pare dover appannare il disegno e, invece, lo amplifica e lo rafforza. L'uditorio, che sempre era stato vasto, ora si dilata assai di più. Incalzato anche dalle necessità della vita materiale, Nitti si obbliga a un'attività instancabile di scrittura sui giornali di mezzo mondo. Spiega la crisi del '29 agli americani di New York e a quelli di Buenos Aires. Dialoga con Keynes, e poi con Roosevelt sulle ricette da adottare, riprende la critica ai Trattati che avevano concluso la Prima guerra mondiale e avverte, con Thomas Mann, l'angoscia per le conseguenze terribili che si profilano in Germania.

È lontano, congedatosi definitivamente, dalla terra senza storia? All'apparenza sì: mentre scrive dei destini del pianeta, Nitti sembra rassomigliare a quei Lucani «ebrei d'Italia» di cui parla Giustino Fortunato, costretti dalla miseria della loro terra a vagare in cerca di fortuna.

Ma la verità, più sottile e meno appariscente, è un'altra. La spiega Carlo Levi quando il suo sguardo si è fatto, finalmente, penetrante: «Non Roma o Napoli - scrive avendo davanti l'emigrazione e i suoi miti - ma New York sarebbe la vera capitale dei contadini della Lucania, se mai questi uomini senza Stato potessero averne una». È così, infatti, che lo statista cosmopolita si riconcilia con la sua gente; è così che la casa sul colle di Melfi, sotto il castello di Federico II, può, oggi ancora, apparire al centro del pianeta.

Per un ossimoro antropologico di denso valore l'unico dialogo possibile di una piccola terra, aspra e poco abitata, da cui la Storia ha, forse, fatto le valigie quando si sono perse le tracce dell'ultimo basilikòs o, forse, egli ha perso le tracce dei suoi padroni troppo lontani, è il dialogo con il mondo. Se si ha la forza di fare il primo passo al di là dello spazio del proprio piccolo paese, se si ha la forza di strattonare il tempo immobile, questo tempo comincia a correre veloce e con esso sono gli spazi, non meno velocemente a dilatarsi. Eboli è a un passo, New York a due.

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