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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 09:18.

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Europa e coraggio, i perché di una festa. Nella foto il Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (Imagoeconomica)Europa e coraggio, i perché di una festa. Nella foto il Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (Imagoeconomica)

Questi 150 anni non sono stati solo contrassegnati dall'evoluzione istituzionale e politica, e dal mutare del contesto internazionale con la Nato prima, l'Europa poi, la caduta del muro e il mondo nuovo consegnatoci dalla crisi mondiale. Un mondo in cui G20, Asia e Cina sono punti nuovi di riferimento della crescita, e che oggi è attraversato dallo straordinario moto dei popoli maghrebini e arabi che riscrivono storia ed equilibri del Mediterraneo.

Il secolo e mezzo alle nostre spalle è stato anche e soprattutto il dispiegarsi dell'eccezionale contributo che grandi uomini e donne, grandi famiglie e grandi energie e risorse dell'impresa italiana hanno dato all'avanzamento graduale e generale dell'Italia nel novero dei maggiori Paesi del mondo. È una storia di cui possiamo e dobbiamo sentirci orgogliosi.

È una storia che ci consegna una domanda. Esiste un modo "nostro", da imprenditori, per festeggiare l'Unità? Io penso di sì. Perché l'Italia moderna esiste, pur con tutti i suoi difetti, anche grazie a valori che ritengo preziosi, e che ci sono stati consegnati dalla dedizione e dalle realizzazioni di tanti imprenditori italiani che ci hanno preceduto, e che hanno saputo affrontare con grande coraggio fasi impegnative e talora anche aspre e difficili della nostra storia nazionale.

Ne voglio ricordare quattro, perché da ciascuna di esse viene a noi una lezione. La prima è l'abnegazione: la capacità di saper sprigionare intorno a sé, a nuovi prodotti e a nuovi stabilimenti per nuovi e più ampi mercati, una quantità di energie del tutto insospettata, date le condizioni di partenza. È la grande lezione che ci hanno impartito i nostri padri, la generazione che in un quindicennio offrì all'Italia con la Ricostruzione e il Boom italiano, il più travolgente avanzamento di crescita economica, produzione industriale e reddito procapite che si sia verificato nell'intero centocinquantennio unitario, grazie a imprenditori grandi e piccoli, a decine di migliaia.

La seconda è l'europeismo. Dal coraggio con cui l'impresa accolse l'apertura ai mercati esteri nel 1953, dalla Ceca all'Euratom, dal MEC all'Unione europea, fino all'ingresso nell'euro negli anni Novanta, non c'è stato passo dell'integrazione comunitaria che l'impresa italiana non abbia incoraggiato e concretamente promosso e tradotto in benefici per l'intera comunità nazionale. È un filo rosso che parte molto da lontano, dagli scritti giovanili del senatore Agnelli nel primo conflitto mondiale, in cui già si proponeva un energico ruolo dell'Italia nell'unificazione del continente, quando ancora non era chiaro il destino di quelli che erano i cosiddetti Imperi Centrali. Ora che l'euro vive la crisi di credibilità di alcuni dei suoi Stati membri, più che mai come imprenditori dobbiamo batterci perché mercato unico e politiche condivise di rigore ci guidino fuori dalla bassa crescita e dai risorgenti nazionalismi. La terza è la coesione nazionale. Che risultò essenziale quando dall'impresa venne una mano essenziale per spezzare la terribile spirale inflazionistica che minacciava le basi stesse del Paese. Senza la disdetta della scala mobile decisa da Confindustria, la politica non avrebbe trovato forza e coraggio che portarono all'abolizione dei meccanismi di piena indicizzazione col referendum con il quale gli italiani, a metà degli anni Ottanta, imboccarono con decisione la via della ripresa di un più solido sentiero di sviluppo.

La quarta, infine, il coraggio civile. L'impresa ha pagato un elevato tributo anche di sangue, quando terrorismo e mafie hanno affondato i loro colpi. Renato Briano, direttore del personale alla Ercole Marelli, Piero Coggiola, dirigente Lancia, Carlo Ghiglieno, responsabile pianificazione Fiat, Sergio Gori e Giuseppe Taliercio, dirigenti Montedison, Manfredo Mazzanti, dirigente Falck, assassinati dai gruppi terroristici. Gennaro Musella, Giuseppe Spada, Sergio Compagnini, Antonino Polifroni, Libero Grassi, uccisi delle mafie. I loro nomi e il loro sacrificio sono per noi un monito quotidiano. L'impresa è una cellula essenziale della democrazia italiana, che difende e promuove legalità e diritto, contro ogni sopraffazione e violenza.

All'Italia unita, Confindustria e i suoi associati hanno dato forza nel mondo, lavoro a milioni di italiani e oggi anche a tanti immigrati, reddito e benessere a tutti prima che utili e dividendi a propri soci. Proprio per questo, mentre si affrontava il dibattito su come festeggiare l'Unità il 17 marzo, avevamo pensato come Confindustria di dare alle celebrazioni forma e spirito nuovo, e cioè lavorando e ricordando nelle aziende, nel corso della giornata, spirito e valore di un'Italia unita oggi innanzitutto nello sforzo di crescita e benessere. È stato deciso diversamente. Qualcuno, purtroppo, ha anche tentato di leggere la nostra proposta come una polemica antiunitaria. Sbagliava. Tanto siamo convinti del valore unitario, che pensavamo fosse matura una nuova forma civile di celebrazione. Tutti insieme e tutti uniti: autorità, imprese e lavoratori.

Diceva Alberto Pirelli, figlio del fondatore Giovanbattista: «La sfida dei tempi in cui viviamo non è tanto fra capitale e lavoro, quanto dell'insieme delle nostre forze produttive - capitale, direzione e lavoro insieme - rispetto a quelle dell'estero e del mondo». Era il 1950. Sessant'anni dopo resta ancora questo, il senso profondo e vero della nostra sfida. E del nostro amore per l'Italia.

Emma Marcegaglia è Presidente di Confindustria

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