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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 09:32.

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«Per ragioni storiche, culturali e politiche complesse, il Risorgimento è passato come un moto contrario alla Chiesa, al Cattolicesimo, talora anche alla religione in generale. Senza negare il ruolo di tradizioni di pensiero diverse, alcune marcate da venature giurisdizionaliste o laiciste, non si può sottacere l'apporto di pensiero – e talora di azione – dei cattolici alla formazione dello Stato unitario». Un messaggio tutt'altro che formale quello inviato da Benedetto XVI per i 150 anni dell'unità d'Italia e consegnato ieri dal segretario di stato, cardinale Tarcisio Bertone, al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «La costruzione politico-istituzionale dello Stato unitario coinvolse diverse personalità del mondo politico, diplomatico e militare, tra cui anche esponenti del mondo cattolico», ha scritto Benedetto XVI.

«Questo processo, in quanto dovette inevitabilmente misurarsi col problema della sovranità temporale dei Papi (ma anche perché portava ad estendere ai territori via via acquisiti una legislazione in materia ecclesiastica di orientamento fortemente laicista), ebbe effetti dilaceranti nella coscienza individuale e collettiva dei cattolici italiani, divisi tra gli opposti sentimenti di fedeltà nascenti dalla cittadinanza da un lato e dall'appartenenza ecclesiale dall'altro». Ma – ha aggiunto il Papa - si deve riconoscere che, se fu il processo di unificazione politico-istituzionale a produrre quel conflitto tra Stato e Chiesa che è passato alla storia col nome di questione romana, suscitando di conseguenza l'aspettativa di una formale Conciliazione, «nessun conflitto si verificò nel corpo sociale, segnato da una profonda amicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale.

In definitiva la Conciliazione doveva avvenire fra le istituzioni, non nel corpo sociale, dove fede e cittadinanza non erano in conflitto. Anche negli anni della dilacerazione i cattolici hanno lavorato all'unità del paese». Ratzinger ha poi rimarcato che «il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell'identità italiana attraverso l'opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative e assistenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzionali, rapporti sociali; ma anche mediante una ricchissima attività artistica: la letteratura, la pittura, la scultura, l'architettura, la musica».

Per il Papa «l'identità nazionale degli italiani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità la base più solida della conquistata unità politica». Il suo messaggio è maturato il giorno del ricevimento all'ambasciata presso la Santa Sede lo scorso 18 febbraio tra lo stesso Napolitano, Bertone, il premier Berlusconi e il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, che presiederà la solenne messa nella Basilica di Santa Maria degli Angeli proprio per celebrare l'anniversario: erano i giorni del "grande freddo" per il caso Ruby e quello del messaggio è stato un piccolo capolavoro della diplomazia. In ogni caso da tempo sia la Santa Sede che la Cei rimarcano i valori risorgimentali: emblematica è stata la partecipazione di Bertone alle celebrazioni di Porta Pia dello scorso settembre, mentre nell'ultimo anno più volte Bagnasco ha parlato dell'Unità come un «tesoro comune».

Sulla prima pagina dell'Osservatore romano il direttore Giovanni Maria Vian ha scritto che «a queste celebrazioni, di un'unità costituitasi di fatto contro il papato e il suo potere temporale, la Chiesa cattolica partecipa oggi con un'adesione certo non formale. Lo attesta il messaggio del Papa che il suo segretario di Stato, con un gesto senza precedenti, ha consegnato al Presidente italiano al Quirinale, il colle che guarda il Vaticano».

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