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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2011 alle ore 08:13.

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Parmalat, banche a caccia di fondi (Ansa)Parmalat, banche a caccia di fondi (Ansa)

di Marco Valsania
Le trattative proseguono a oltranza – tra banche, Cassa depositi e prestiti e partner industriale – per far decollare al più presto la cordata italiana che potrebbe strappare Parmalat ai francesi di Lactalis. Dopo tante incertezze, Intesa, Mediobanca, UniCredit, Cdp, Bnl e GranLatte-Granarolo puntano a stringere i tempi per un accordo di massima, forse entro Pasqua.

A complicare la quadratura del cerchio finanziario dell'operazione, accanto alla complessità del negoziato, spuntano anche le difficili prospettive dell'intero settore del latte: i grandi rivali globali, quali la francese Danone, hanno di recente pronosticato aumenti del costo delle materie prime superiori alle attese nell'anno in corso. Per la precisione, rincari ai massimi di una banda di oscillazione indicata tra il 6% e il 9 per cento.

Questa realtà, in assenza della capacità di trasferire sui prezzi al consumatore finale i nuovi costi, potrebbe comprimere i margini di profitto per tutto il settore, da Danone a Nestlè, da Unilever a Parmalat. Margini il cui andamento già prevedeva scarsi movimenti: 0,2 punti percentuali in più per il gruppo francese, piatti per l'azienda svizzera e quella anglo-olandese. Questo pur se nel primo trimestre Danone ha riportato un incremento del 20% del fatturato (a 4,76 miliardi di euro), ottenuto grazie ai suoi prodotti di fascia alta e all'acquisizione della russa Unimilk.

Simili pressioni, tradotte nel caso italiano, potrebbero rendere più ardua la ricerca di partner finanziari nella saga Parmalat, che ha come traguardo ultimo la data dell'assemblea degli azionisti fissata per il 25 giugno (26 e 27 in seconda e terza convocazione). Simili partner potrebbero aver bisogno di garanzie di rientro e redditività dei loro impegni. E nel caso di una combinazione tra Parmalat e Granarolo, oltretutto, potrebbe rivelarsi scarsamente proponibile far leva su un'altra soluzione: la riduzione dei costi per migliorare la performance, considerando sovrapposizione di attività e dettami di efficienza, vista la natura «nazionale» della cordata. Insomma, un progetto che mira a presidiare la filiera produttiva legata a Parmalat difficilmente potrebbe recuperare un eventuale calo dei margini con tagli d'organico.

Così, finora, i gruppi di private equity, quali Palladio Finanziaria o Clessidra, sono parsi quantomeno cauti. Le ipotesi sulle quale sono in corso i lavori ruotano attorno alle modalità per «capitalizzare» una newco – o meglio Latco che diventerebbe il veicolo per rilevare Parmalat – con i nomi finora coinvolti. Potrebbe scattare un prestito-ponte a GranLatte, che ha poche risorse finanziarie, per consentire il suo ingresso nella nuova società. Che avrebbe tuttavia bisogno di ben tre miliardi, metà in equity e il resto in debito, spartiti tra le banche, GranLatte con la controllata Granarolo e la governativa Cdp. Si tratterebbe di un impegno di equity di mezzo miliardo di euro a testa. Un'altra strada per GranLatte, in alternativa al versamento di capitali, potrebbe venire dal conferimento di asset, sotto forma di stabilimenti. In quel caso, però, dovrebbero essere direttamente le banche a offrire per intero i finanziamenti necessari all'operazione.

Tra le incognite, oltre a quelle finanziarie e industriali che tuttora scuotono la nascente cordata tricolore, ci sono anche le possibili risposte dei francesi di Lactalis. La società ha rilevato il 29% di Parmalat, comprando con una rapida mossa quote che erano in precedenza di fondi nordamericani. Potrebbe ancora trattare con una cordata italiana, con l'obiettivo di cedere la sua quota o provare a suddividere le attività. Oppure potrebbe dar battaglia a qualunque azione italiana: lanciare una nuova controfferta qualora la Latco, in assenza di intese con i transapini, lanciasse un'offerta pubblica d'acquisto.

Secondo quanto ha riportato il Sole 24 Ore una data significativa potrebbe essere quella dei primi di maggio, in considerazione dell'entrata in vigore di nuove norme sulle Opa e dei tempi necessari a presentarsi all'assemblea di Parmalat di giugno: oltrepassato il 2 maggio, in particolare, se non ci saranno state svolte con Lactalis, alla cordata italiana potrebbe restare solo l'opzione Opa.
Su Parmalat, intanto, il primo appuntamento riguarda ancora il passato, non il futuro. Domani è prevista una sentenza a Milano su quattro banche estere accusate di aver aiutato i vecchi vertici del gruppo a truffare gli investitori nel 2003: Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley e Deutsche Bank rischiano la confisca di fino a 120 milioni di euro e multe da 900mila euro.

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