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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2011 alle ore 06:38.

Tassi di interesse, valute, moneta
La debolezza del dollaro è andata al di là delle attese ma, come si disse nelle ultime "Lancette", non è probabile che il biglietto verde rivisiti i minimi del passato contro euro. Questa debolezza tuttavia non riguarda solo la principale moneta antagonista. Si estende alla media delle valute, talché il cambio effettivo reale si trova oggi a minimi storici (ai minimi dal 1973, quando finirono i cambi fissi). Questi minimi sono addirittura più pronunciati per il cambio reale nei confronti degli emergenti che per il cambio reale nei confronti delle valute dei Paesi industriali. Complice, in questo caso, l'inflazione più pronunciata nei Paesi di nuova industrializzazione che fa apprezzare le loro valute minandone la competitività.
Dietro questa debolezza, diranno i profeti del crollo del dollaro, vi sono fattori strutturali. Questi riflettono un mondo meno "America-centrico", con la perdita della primazia economica e il peso crescente dei Paesi emergenti nell'economia mondiale: viene così eroso il ruolo del dollaro come moneta di fatturazione internazionale (per esempio, la Cina stringe accordi con altri Paesi per regolare import ed export nelle rispettive valute), e come moneta di riserva (in favore dell'euro oggi e forse, un giorno, dello yuan). Anche il ruolo degli Stati Uniti come "Paese rifugio" sembra oggi passare in secondo piano. E gli aumenti dei tassi europei, pur se minimi, allargano ancora il differenziale dei tassi sul segmento breve. Tuttavia, sarebbe sbagliato assumere che le perdite del dollaro siano irreversibili. L'America conserva i suoi vantaggi in termini di capacità innovativa e di spessore dei mercati, mentre mantiene un differenziale di crescita positivo rispetto all'Europa. Da quando è deflagrata la Grande recessione l'economia statunitense ha retto meglio di quella europea, e le ultime previsioni del Fmi indicano che la dinamica della crescita Usa continuerà a sopravanzare quella del Vecchio continente di qui al 2016.
In campo monetario, all'aumento di un quarto di punto dei tassi Bce si sono accompagnati altri segnali di restrizione (o di minore espansività): in Australia la Reserve Bank ha mantenuto i tassi fermi ma ha segnalato la possibilità (leggi probabilità) di prossimi rialzi. La Cina ha stretto i freni sui coefficienti di riserva, l'India ha aumentato i tassi ufficiali di mezzo punto e la Fed ha confermato il 30 giugno come data di cessazione degli acquisti di titoli. E questo orientamento restrittivo è qui per restare.
In sintesi
RIPRESA SENZA GRUCCE
I timori, espressi nelle precedenti Lancette, di un effetto sulla crescita di mezzo punto-un punto in meno da disastri bellici e naturali/nucleari (Medio-Oriente e Giappone), potrebbero limitarsi alla parte inferiore della forchetta. La ripresa sulle due sponde dell'Atlantico prosegue e si porta appresso un (giustamente) graduale ritiro degli stimoli monetari e fiscali. Le politiche monetarie sono un po' meno espansive, e le svolte delle politiche di bilancio sono chiaramente restrittive.
I FRENI AGLI EMERGENTI
La forte crescita dei Paesi emergenti ha portato ai problemi collegati. La combinazione forte crescita/inflazione è certo più desiderabile di quella deleveraging/bassa crescita prevalente nei Paesi emersi, ma richiama politiche restrittive. Nelle due metà del mondo le politiche economche stanno tirando le briglie per motivi diversi ma con effetti analoghi.
MATERIE PRIME IN PAUSA
Il crollo (temporaneo) della produzione industriale in Giappone post-tsunami e le avvisaglie di politiche restrittive in Cina hanno raffreddato la domanda di materie prime, e, a parte il petrolio che ha dalla sua i sommovimenti in Medio-Oriente, le quotazioni stanno registrando una pausa. La dinamica del costo della vita continua a salire, ma, al netto dell'energia e degli alimentari si mantiene bassa sia in Europa che in America.
DOLLARO DEBOLE MA…
La debolezza del dollaro è fisiologica e non patologica, si notava nelle Lancette dell'8 novembre scorso. Anche se l'indebolimento recente è andato al di là delle attese, il giudizio di fondo rimane: in questo momento sui mercati prevale l'effetto "differenziale dei tassi", di conserva agli aumenti passati e prospettici del tasso-guida della Bce. Ma anche la Fed si muove in quella direzione, mentre il differenziale di crescita rimane a favore dell'America.
fabrizio@bigpond.net.au
l.paolazzi@gmail.com
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