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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2011 alle ore 14:38.

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Il 27 luglio scorso a Crystal Nicely tremava la voce mentre parlava della riabilitazione di suo marito Todd, caporale dei Marines tornato dall'Afghanistan dopo che un "ordigno improvvisato" gli aveva fatto perdere braccia e gambe. E per i membri della Commissione reduci del Senato che la ascoltavano non è stato facile nascondere la commozione.

Ma quando Crystal ha spiegato che l'approvazione della richiesta di protesi erano stati necessari 70 giorni, la reazione più diffusa è stata di sdegno. Il pensiero del caporale Nicely per oltre due mesi immobilizzato su un letto di un ospedale militare perché i burocrati della Veteran Administration (Va) avevano impiegato tutto quel tempo per autorizzare le quattro protesi era stato troppo anche per chi ha grande familiarità con le lentezze burocratiche.

Poco più di un mese dopo, il 30 agosto scorso, in un discorso al più importante raduno annuale di reduci, il presidente Barack Obama ha preso un impegno: «Come nazione non possiamo, non dobbiamo e non faremo pagare la crisi del bilancio ai nostri reduci». Insomma, tagli al bilancio sì, ma non a spese di chi si è sacrificato per il Paese. Per Obama e i repubblicani il problema è che, a seguito delle guerre in Iraq e in Afghanistan, le spese per i reduci stanno facendo sprofondare nel rosso violaceo il bilancio della Veteran Administration.

In una dichiarazione al Congresso, la principal analyst for Military and Veterans' Compensation, Heidi Golding, ha presentato il conto al Congresso. «Nel 2010 la Va ha speso 1,9 miliardi di dollari per la cura di 400.100 reduci delle due guerre», ha spiegato. «E prevediamo che nel prossimo decennio, tra il 2011 e il 2020, la spesa sanitaria dei reduci di quelle guerre oscillerà tra i 40 e i 55 miliardi di dollari». Il che si andrà a sommare ai 6 miliardi spesi fino al 2010. C.G.

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