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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2011 alle ore 10:23.

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Quelle vite cambiate per sempreQuelle vite cambiate per sempre

Quanti Pat Tillman ha perso l'America post 11 settembre? Qual è il costo sociale di queste perdite, il suo impatto sulle famiglie, sulle comunità, sull'intero Paese? Forse sono poche le storie incredibili come quelle di Pat, il ventisettenne eroe del football che aveva buttato via un contratto da 3,6 milioni di dollari con gli Arizona Cardinals per andare a combattere in Afghanistan.

E finire ucciso il 22 aprile 2004 dal fuoco amico, mentre cercava di stanare i talebani. Ma al di là degli episodi fuori dall'ordinario, il costo delle ricadute emotive e psicologiche dell'attacco all'America e delle guerre che ne sono conseguite è difficilmente calcolabile, perché immateriale.
È un costo che va al di là dei risarcimenti ottenuti dalle famiglie di chi lavorava o viveva a Ground Zero (le richieste sono state 7.300, accolte nel 97% dei casi), o dei reduci in cura, feriti fisicamente e mentalmente. Riguarda chi è sopravvissuto con una devastazione psicologica senza eguali, chi si è suicidato o tenta il suicidio, sopraffatto dalla tragedia (18 al giorno, ne ha calcolati il premio Nobel Joseph Stiglitz). Riguarda chi è morto e quello che sarebbe potuto essere, i potenziali Tillman dell'economia, della politica, della cultura, della scienza degli Stati Uniti. E le tante cittadine e i tanti paesini svuotati dei loro giovani, partiti per difendere la patria e la democrazia globale dalla minaccia del terrorismo.

«L'11 settembre ha comportato per tutti, nell'immediato, la consapevolezza di un'improvvisa vulnerabilità, e per le comunità americane la necessità di investire di più nella sicurezza», dice Catherine Lutz, docente di Antropologia al Watson Institute della Brown University. «Quanto alle guerre, il massiccio impiego di forze militari all'estero ha indebolito la capacità della National Guard di far fronte alle emergenze nel nostro Paese, come è successo per esempio nel caso di Katrina - continua Lutz, riferendosi all'uragano che nel 2005 investì New Orleans - e ha aumentato i costi per decine di piccoli centri in cui le reclute rientravano dal fronte in uno stato di shock. Per queste ultime, il tasso di disoccupazione è stato di due punti percentuali più alto della media. E almeno mezzo milione dei circa due milioni di bambini con un padre in guerra ha sofferto di depressione».

I numeri, sempre in spietata evoluzione, dicono che 4.466 soldati americani sono morti in Iraq, 1.534 (incluso il personale civile) in Afghanistan. Oltre 44.500 militari sono rimasti feriti, 1.570 hanno subìto amputazioni; il 51% dei reduci ha sofferto di disturbi mentali. Inutile ricordare, nonostante gli aiuti del Transition assistance program previsti dal department of Veterans affairs, tutte le difficoltà del reinserimento nella vita quotidiana dei soldati tornati a casa.
A New York, cuore dell'attacco di al-Qaida, quasi il 96% dei sopravvissuti - inclusi i soccorritori e la gente che viveva nell'area di Ground Zero - ha sofferto di disturbi da stress post traumatico: uno studio condotto dal dottor Sandro Galea per la Mailman School of public health della Columbia University, ha riscontrato stati d'ansia, depressione e abuso di medicine, alcol e droghe ben superiori rispetto al periodo precedente al settembre 2001.

Secondo il dipartimento di Salute e Igiene mentale, furono direttamente esposte agli attentati circa 410mila persone, 71mila delle quali inserite nel World Trade Center Health Registry. Tra questi ultimi, la percentuale di chi ha risentito nel tempo di disturbi psicologici è aumentata negli anni dal 20 al 30%, arrivando al 35% per i bambini rimasti orfani. Oggi starebbero ancora scontando la violenza del trauma in 10mila.
Le vite cambiate per sempre da quel momento sono tante. Una per tutte, la storia di Nicole Simpson, consulente finanziaria di Morgan Stanley. Era al 73° piano della Torre 2. Dopo aver sentito un forte rumore dall'esterno (lo schianto dell'altra torre), uscì dall'edificio poco prima che si sbriciolasse trafitto dall'aereo. «Andai vicino al Krispy Kreme e alla libreria Barnes & Noble.

Vidi il jet della United entrare come un proiettile nel mio grattacielo. Non sembrava vero. Visualizzai in un istante centinaia di persone destinate alla morte. Avvolta da una nube di polvere, mi precipitai a Battery Park, attraversai l'Hudson e tornai a casa in New Jersey». Salva, dunque, Nicole, ma il peggio doveva arrivare: «Non sono più riuscita a mettere piede a Manhattan. Ho cercato di lavorare tra Staten Island e il New Jersey, ma non ha funzionato e il mio reddito annuo è crollato da 120mila dollari a 18mila». Nicole con il tempo ha sconfitto l'insonnia, gli incubi, gli attacchi di panico che le hanno rovinato la vita, ha pubblicato libri su quest'esperienza, l'ultimo nel giugno scorso, A long road toward recovery. Adesso ha un sito internet (www.nicolbsimpson.com) che è un punto di riferimento per sopravvissuti. «Si è sempre posta l'enfasi sulle famiglie che hanno perso i loro cari, o su chi ha rischiato la vita per salvare quelli come me - osserva - ma il fatto di essere viva non toglie che la mia esistenza sia cambiata per sempre. Dopo 10 anni, ricordiamo anche i sopravvissuti, aiutiamoli nel loro percorso». I costi sociali dell'11 settembre non muoiono.

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