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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2012 alle ore 14:24.

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di Dario Ceccarelli

Una tempesta perfetta. Soprattutto per la grande Germania. Che come tutti i vincenti, da Golia in avanti, ha tutto da perdere a sfidare la fionda di questa povera Grecia, un Davide arrabbiato e pieno di debiti, sostenuto da un manipolo di tifosi che, come dice lo squalificato capitano Georgos Karagounis, «non hanno nemmeno i soldi per pagarsi il biglietto ad Atene».

Non a caso Wolfgang Schauble, il ministro delle finanze tedesco, uno simpatico come un temporale in un picnic, entra subito a gamba tesa: «Non c'è partita: vinciamo facile per 3 a 1», dice con la stessa arroganza di quando esamina al microscopio i buchi di bilancio di Atene. Ma è una sicurezza fasulla, quella di Schauble. Di uno di quei centravanti di sfondamento che attacca a testa bassa senza farsi domande fastidiose.
Perchè un conto è fare le pulci ad Antonis Samaras, in visita a Berlino per mettere delle toppe ai debiti, un'altra è imbrigliare l'altro Samaras, quel Georges omonimo del neopremier, che dà le ali al centrocampo biancoazzurro. Nel calcio, a differenza che nella finanza, due più due non fa sempre quattro. Basta un dettaglio, una svista dell'arbitro a cambiare una partita.

Lo sa Schauble, che tocca ferro. E lo intuisce Angela Merkel, che pur nulla sapendo di calcio, ha capito che dal calcio tutto passa e tutto scorre. E difatti eccola qua, rapida a traslocare dal vertice di Roma a Danzica per trasformarsi in una Cancelliera ultrà, per la gioia dei suoi elettori. Cosa vuole questa Grecia con il suo 2% di pil? Li schiacceremo con i nostri Panzer, Gomez, Schweinsteiger, Khedira; Muller, Ozil, Podolski...

Ma la tempesta perfetta è in agguato. Perchè il calcio è malandrino: e, a volte, aiuta gli ultimi che diventano i primi. E i dieci milioni di greci, che da anni mandano giù il rospo tedesco, lo sperano come un regalo dal cielo. Anche se i bookmaker danno la Germania favorita a 1.35 entro i tempi regolamentari. Ma chi se ne frega del realismo: offesi e umiliati i nipotini di Achille, chiedono a Zeus un giorno di vacanza per dimenticare l'austerity, i tagli degli stipendi, la cinghia stretta imposta da chi ha la pancia gonfia di birra.

I giocatori greci, a partire dal capitano Karagounis, fingono di gettare acqua sul fuoco. «Noi siamo sfavoriti, però ci metteremo il cuore» dice strizzando l'occhio alla tifoseria. Lo stesso Georgos Samaras, protagonista di partite generosissime, fa inutilmente il diplomatico. «Non mischiate sport e politica», dice con un sorriso che non incanta nessuno. Perchè tutti sanno che questa non è una partita come le altre. Che è un incrocio di destini, un'occasione storica per rimettere in pareggio il dare e avere della storia.

Chi fa l'ironico, proprio per non caricare troppo i suoi giocatori, è l'allenatore tedesco Lowe. E a proposito dell'arrivo in tribuna d'onore della Cancelliera, dice: «La squadra è sempre fiera di avere Angela Merkel al seguito, porta anche una discreta fortuna. Poi abbiamo un patto: io non parlo di politica, lei non fa la formazione...».

I tedeschi si dicono fiduciosi. Le grandi case automobilistiche, con l'eccezione della Bmw, ridurranno l'orario di lavoro per permettere ai dipendenti di seguire la partita. Una nazione che ha il 27% del pil europeo può permettersi di rallentare il suo locomotore. Ma dietro la sicurezza resta una paura: che in questo mercato atipico del pallone, il titolo della nazionale di Lowe sia sospeso per eccesso di rialzo. La Germania infatti è l'unica squadra ad aver sempre vinto nelle tre partite di qualificazione.
E troppa sicurezza, come ha dimostrato la finale di Champions League persa dal Bayern con il Chelsea, non fa bene nel calcio. In più i greci, che hanno lo stesso colore azzurro e bianco del Chelsea, praticano lo stesso catenaccio degli inglesi. Piccoli segnali che lasciano una sottile inquietudine. Come la parola rigore. Quella finale infatti fu decisa dagli undici metri. E la parola rigore, per i greci, produce lo stesso effetto di un drappo rosso per il toro. Meglio non farlo arrabbiare.

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