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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2012 alle ore 13:08.

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Siete interisti e il famoso equivoco sul ruolo che nel 2001 costò la sua cessione non l’avete mai digerito? Siete milanisti e ce l’avete con Allegri perché, con la boria dello scudetto vinto un anno fa, lo ha bollato per bollito e ne ha ordinato la cessione? Siete juventini felici e contenti per l’affare del secolo ai cui meriti è riconducibile un buon 30% del tricolore 2011-2012?

Per una volta lasciate perdere rimpianti, rancori e divisioni: alzatevi tutti e applaudite Andrea Pirlo. Ciò che questo schivo trentatreenne bresciano col profilo da navajo ha fatto ieri all’Olimpico di Kiev resterà negli annali del nostro calcio al pari del sublime assist che nel 2006 portò al gol di Grosso contro la Germania padrona di casa, spianandoci la strada del Mondiale. Ci vogliono sublime padronanza del mezzo tecnico, esperienza e soprattutto due spalle larghe così per battere il rigore più complicato della cinquina – quello in cui la tua squadra è in svantaggio e un tuo errore può significare ciao-ciao Europei - con un «cucchiaio», un micidiale sberleffo all’insopportabile siparietto del portiere Joe Hart che gonfia il petto e agita le braccia secondo lo stile di Grobbelaar che i romanisti, a quasi trent’anni di distanza, fanno fatica a dimenticare. La palombella è un gesto taumaturgico che deprime gli avversari (chiedete a Young e Cole) e galvanizza i compagni di squadra mettendo la partita sui binari della vittoria. Pirlo torna il santo francescano che faceva volare palloni alati come nella pubblicità Sky di un anno fa.

Gli elogi dei colleghi. Se sai prenderti responsabilità del genere, meriti il plauso dei colleghi. E infatti su Twitter è tutto un tripudio di top player che inneggiano al nostro regista di mille battaglie. Van Persie, sogno proibito del mercato bianconero, esclama: «Pirlo!». Il turco Sahin di punti esclamativi dopo il nome del centrocampista juventino ne mette tre mentre il tedesco Marin ne infila addirittura quattro. In casa della Spagna del tichitaca si scomodano Piqué («Pirlo is just #class!») e Fabregas («Pero que clase…»). Si uniscono al coro di lodi l’olandese Babel e Michael Owen, coetaneo inglese dell’Andrea nazionale lasciato a casa da Hodgson che grida: «Wow, Pirlo is a joke». Uno scherzo. Che agli inglesi costa il passaggio alle semifinali.

L’invenzione di Panenka. Oltre alla tecnica, all’esperienza e alle spalle larghe, per calciare un rigore decisivo in questo modo serve anche una buona dose di follia, un’insostenibile leggerezza d’animo. Ne è testimone il centrocampista ceco con diploma di perito alberghiero Antonín Panenka che nel ’76, nella finale dell’Europeo jugoslavo contro la Germania già campione del mondo, dopo che i tempi supplementari s’erano chiusi sul 2-2 s’inventò la finezza trovandosi di fronte nientemeno che Sepp Maier. Il portiere del Bayern nella sua lunga e onorata carriera non aveva visto nulla del genere, si tuffò e ci cascò, consegnano dalla Cecoslovacchia l’unico titolo professionistico della sua storia. Sul caso si pronunciò anche il grande Pelé, sentenziando: «Solo un genio o un pazzo avrebbe potuto tirare un rigore in quel modo». Vagli a dare torto

Il sigillo del Pupone. Numerosi e più o meno dotati con i piedi i proseliti di Panenka: dal talento d’esportazione Paolo Di Canio ai francesi Zidane e Riberi fino a Mutu, tutti si sono cimentati con il particolarissimo rigore battuto a palombella. Per noi italiani cucchiaio significa però soprattutto Francesco Totti, uno specialista del genere. Nell’Europeo del 2000, in semifinale con i padroni di casa dell’Olanda, prova a trarre in inganno van der Saar, ragazzone di un metro e 97 che tra i pali non è esattamente un giaguaro come ricorderanno i tifosi juventini. Neanche a dirlo: il portiere arancione abbocca alla finta. Alla buonaima di Long John Chinaglia, all’epoca commentatore Rai, scappa un memorabile «non ci credo». L’Italia si avvia così alla finale con la Francia nella quale sperimenterà quanto possa rivelarsi infame la legge del golden gol, non a caso subito abolita da Uefa e Fifa. Sforziamoci comunque di non guardare al 2000 ma al 2006. Che la prodezza di Pirlo possa infondere coraggio in questa strana Nazionale che abbina senatori non sempre nobili a promesse non ancora sbocciate. Serviva qualcuno che si caricasse la squadra sulle spalle e nessuno come il nostro numero 21 risponde meglio al compito. Adesso tocca ai tedeschi che sanno di essere più forti. Come probabilmente lo erano a Messico ‘70, a Spagna ’82 e a Germania 2006.

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