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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2012 alle ore 16:59.

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D'accordo, la Spagna ha dimostrato di essere una delle migliori squadre di sempre. Organizzata come una macchina da guerra, precisa nell'esecuzione e affidabilissima nelle gare che valgono un titolo. Dei campioni, meglio, dei super campioni, quasi dei marziani se il confronto è con il poco, pochissimo che si è visto nelle ultime due settimane sui campi di Polonia e Ucraina. Come dire, loro sono da tempo lassù, nell'Olimpo delle formazioni che vincono, perché altro non potrebbero fare. Un po' come il Barcellona senza Messi, ma con un carico di qualità da far invidia a qualsiasi altro club al mondo. Perché se al Barcellona aggiungi Casillas, Xabi Alonso, David Silva e Sergio Ramos, soltanto per citarne alcuni, c'è poco da fare. Il risultato è quasi scontato. Cosa fatta. Archiviata.

Tuttavia, oltre quella sottile linea d'ombra che divide il possibile da tutto il resto, si aprono scenari che fanno gola al popolo del giorno dopo. Perché, certo, la Spagna era superiore all'Italia, e probabilmente avrebbe vinto 4 partite su 5 in un'ipotetica serie in stile Major League, però da qui al 4 a 0 con cui le Furie rosse ci hanno regolato, beh, sorge il dubbio che qualcosa di meglio si potesse fare. Anzi, si dovesse fare. Nessun processo, per carità, che i cacciatori di scalpi non abitano da queste parti, ma una serena riflessione sulle responsabilità di Prandelli nel ko più pesante della storia degli Europei è quasi doverosa, se non necessaria. Cinque spunti di riflessione cinque, giusto per non perdere il filo della memoria e chiudere i conti con un torneo che per i colori azzurri è stato bellissimo e avrebbe potuto (lo dicono i numeri) essere trionfale.

Condizione fisica e atteggiamento tattico. Sapevamo di non essere al top della forma. La Spagna aveva potuto riposare 48 ore in più di noi e la differenza non è da nulla se si considera che in due giorni possono cambiare le strategie di una squadra alle prese con infortuni e acciacchi vari. E allora, prima domanda, perché non togliere dalla naftalina giocatori fino a ieri poco utilizzati per buttarli nella mischia e provare il colpaccio? Soprattutto, se l'intenzione è replicare la partita della fase a gironi: tanto pressing e lotta senza quartiere a centrocampo. Nulla, Prandelli ha scelto di dare fiducia ai giocatori che lo avevano portato così lontano, pure se a mezzo servizio, come Chiellini e De Rossi.

Cassano, bello e impossibile. Vero, senza di lui, capace di confezionare il cross che ha permesso a Balotelli di piegare le resistenze della Germania, probabilmente adesso staremmo parlando di altro. Epperò, e qui arriva la seconda domanda da passare al cittì, era proprio indispensabile farlo giocare dal primo minuto sapendo che dopo un'ora, forse meno, sarebbe stato necessario richiamarlo in panchina per il meritato riposo? Giovinco non è un perfetto sconosciuto e in Polonia aveva già fatto vedere buone cose. Altro talento, si dirà, eppure c'è qualcosa che non torna.

Strategia di gioco. L'Italia si sentiva forte. Forte e capace, anche di mettere sotto i maestri del possesso palla. Nessuna barricata, Prandelli ha voluto giocarsi la gara a viso aperto. Attento, coperto, certo, ma non rinunciatario e barricadero. Il campo ha detto che è stato un mezzo disastro, altro che storie. Avessimo fatto a meno di una punta per avere un uomo in più a centrocampo, forse saremmo riusciti a respingere meglio l'assalto della Roja. Tanta umiltà in più, insomma. Forse troppa?

Terza sostituzione, vivere o morire. Sotto di due gol a 35 minuti dalla fine, Prandelli decide di togliere Montolivo (non un fuoriclasse, ma un abile tessitore di gioco, questo sì) per fare posto a Thiago Motta, tanta quantità, ma poco fiato e pochissima corsa. Come dire, proviamo ad arginare lo strapotere spagnolo a centrocampo prima che sia troppo tardi. L'oriundo si fa male pochi minuti dopo e l'Italia si ritrova a giocare in 10 per via delle tre sostituzioni già effettuate. Nulla da dire, questa si chiama sfortuna. Ma provare per provare, forse valeva la pena di pensare a spostare il baricentro del gioco in avanti, anziché in dietro. Borini? Tre punte e tanti auguri? C'era poco da perdere e la goleada c'è stata comunque.

«Stasera ci è mancato un po' di carattere», ha detto un affranto Bonucci al termine dei 90 minuti più lunghi della storia azzurra. E forse è vero. Perché dopo i primi minuti di entusiasmo, l'Italia si è fatta prendere dalla paura di averla azzeccata di nuovo contro la squadra più forte al mondo. Poco dopo, la pioggia. Pure se la serata prometteva stelle e buone cose. L'Italia si è disunita, ha cominciato ad arrancare. Chiellini è uscito per il riacutizzarsi di un guaio già denunciato qualche giorno fa e altro che diluvio. La responsabilità di tutto questo? Il compito di un commissario tecnico, allenatore di anime più che di atleti, è calibrare la grinta e la determinazione dei giocatori che manda in campo. Per gestire la tensione nei momenti difficili e instillare adrenalina quando le cose sembrano andare troppo bene. Prandelli come Bearzot e Lippi. Vincere non è cosa da tutti.

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