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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2010 alle ore 13:26.

Verso la fine del corto "Diary of a Camper" tre guerrieri, cannone alla mano, smettono di spararsi addosso e si guardano. In quel momento di quattordici anni fa i Rangers, un clan di videogiocatori appassionati di Doom aveva pi˘ o meno scientemente dato vita ai primi 100 secondi di un nuovo genere di cortometraggi oggi chiamato Machinima. La parola è una abbreviazione di machine cinema o di machine animation. In termini volgari oggi lo conosciamo come il cinema realizzato con e nel mondo dei videogame.
Motori grafici in 3D, mondi virtuali e software open source si trasformano in una ideale cassetta degli attrezzi per realizzare nuovi tipi di narrazione. Racconti sospesi come la foto in bianco nero, utili - forse - per affiancare la scrittura su molteplici schermi.
Ma per capire le potenzialità e la grammatica di questi corti bisogna tornare al 1996, a "Diary of a Camper". Ad anni di distanza fa ancora discutere. C'è chi ci ha visto un atto di ribellione dei personaggi dei videogame rispetto a un destino preordinato. Altri un ripensamento dell'animazione digitale. Come se l'avatar avesse smesso di seguire il copione del giocatore per diventare attore e raccontare altro da quello che i programmatori avevano deciso per lui.
Dopo "Diary of a Camper", machinima si è mosso in una terra di mezzo, grigia e poco esplorata. Era come se gli animatori professionisti si fossero fatti sfuggire qualche cosa dalle tastiere. Il corto amatoriale, a bassa definizione e relativamente semplice da realizzare si proletarizza. Ma nei fatti è passatempo da geek, da fan dei videogame. E infatti proprio un appassionato di Quake (sparatutto in soggettiva fenetico come la tecno dei primi anni ottanta) inventa il primo luogo virtuale per corti artificiali.
Il sito www.machinima.com nasce per caso, dallíincontro del giocatore Hugh Hancock con il filmaker artistoide Gordon McDonald. Fino al 2003 - va detto - nessuno aveva ben chiaro
cosa fossero questi cortometraggi. Erano cartoni costituti da poligoni generati al computer. Solo i più visionari hanno interpretato quei puppazzetti digitali legnosi e imperfetti come inconsapevoli comparse (attori) di veri e propri set cinematografici. Un luogo dove muovere con il mouse fotocamere virtuali per riprendere e animare con la voce personaggi in tre dimensioni.
SECOND LIFE
Con il boom di Second Life diviene apparentemente tutto ancora meno chiaro. I mondi virtuali si confondono con il cinema. Quello che era uno strumento al servizio dello storytelling viene confuso con il racconto. Colpa del marketing dei Linden Lab che ha voluto bruciare le tappe, trasformando in soldi e curiosità una sperimentazione. Lo sguardo sui mondi virtuali permanenti si tinge così di voyerismo pruriginoso. I reportage diventano un modo per spiare le stramberie di artisti, programmatori, musicisti e pionieri della seconda vita .
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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