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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2011 alle ore 11:07.

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Dall'inserto cultura della Domenica un articolo sulla genesi del film «First Orbit» e con l'intervista a Claudie Haigneré, la prima astronauta europea che oggi dirige il museo della Villette di Parigi

«Poehali !», ovvero, «Si va!». Con queste parole alle 9.07 del 12 aprile 1961, 50 anni fa, Yuri Gagarin l'addestratissimo e selezionatissimo primo astronauta dell'Unione Sovietica, ma in effetti di tutta l'umanità, affrontava la sfida di Icaro: volare nello spazio oltre la Terra. E la superò dato che fece con la sua navicella spaziale un'orbita attorno alla Terra in un'ora e 48 minuti, passando così alla storia come gli eroi della mitologia greca, le cui imprese non possono essere eguagliate dagli uomini comuni.

Oggi può sembrare strano o addirittura ridicolo, ma il sentimento che si respirava allora, assieme a speranza e timore, era proprio questo.
Fu lui il primo ad andare oltre l'atmosfera, il primo a vedere che la «terra è blu e il cielo nero», il primo a vedere le stelle senza lo scintillio degli strati di aria che le muovono in continuazione davanti ai nostri occhi terrestri. Fu lui a dare il più grande smacco del secolo agli Stati Uniti d'America, che già nel 1955 avevano promesso di spedire il primo satellite artificiale in orbita ed erano stati battuti clamorosamente, il 4 ottobre 1957, dallo Sputnik russo. La superiorità dell'Unione Sovietica, e quindi del Comunismo sopra il Capitalismo, fu sbandierata in tutto il mondo grazie a questo sanissimo ed equilibrato ventisettenne pilota da caccia, 1 metro e 70 di altezza per 70 chili, scelto fra migliaia di aspiranti.

La sua navicella spaziale, Vostok 1, Oriente 1, fu posta in cima ad un razzo Semyorka-R7, 35 metri di altezza, 280 tonnellate di peso al suolo, uno dei terrori dell'occidente in quegli anni di guerra fredda e contrapposizione fra Unione Sovietica, URSS, e Stati Uniti, USA, ognuno coi suoi alleati. Era infatti un missile balistico intercontinentale modificato per il volo spaziale. Invece che portare sulla sua sommità la bomba atomica che tutti temevano portava la Vostok 1, composta da una capsula abitabile poco più grande di 2 metri, come spazio interno la metà di una odierna Smart, e da un modulo di servizio, con trasmissioni e razzi per il rientro per complessivi 4 metri. Modulo di servizio e capsula con dentro Gagarin erano legate, può far sorridere oggi, da cinghie metalliche. E nella piccola sfera era entrato con difficoltà l'astronauta, che rimase fermo per tutto il viaggio su una sorta di poltrona da dentista di oggi, a guardare un quadro comandi elementare, certo non strapieno di elettronica, che gli permetteva di capire come andavano le cose e, soprattutto, se c'erano problemi. Peraltro non avrebbe potuto risolverli in alcun modo se ci fossero stati, per la limitatezza della Vostok 1.

Il lancio dalla base, allora super segreta, di Baikonur, oggi ci si va in gita senza problemi, fu perfetto e l'accelerazione spaventosa: da 0 a 27.000 chilometri all'ora in pochi minuti. Per questo gli astronauti di allora erano tutti giovani, perfetti dal punto di vista fisico e psichico e super allenati. Ma soprattutto perché, nonostante in orbita fossero andati già cani, topi e alla fine perfino un manichino dal nome quasi da barzelletta russa, Ivan Ivanovic, nessuno sapeva bene cosa sarebbe successo ad un essere umano in carne ed ossa. E quindi occorreva mandarci il migliore in assoluto. E Gagarin lo era. Furono selezionati prima i 20 migliori fra gli oltre 3000 candidati, tutti giovani militari di qualificazione eccellente e poi, fino al giorno prima del lancio, passato in assoluto riposo, rimasero in due: lui e German Titov, che fece poi il secondo viaggio nello spazio, anche più complesso, ma che oggi, inevitabilmente, quasi nessuno ricorda più, come tutti i secondi.

Il volo della Vostok 1 fu comunque un azzardo secondo molti, e infatti si dice che al momento del decollo il KGB, l'onnipotente servizio segreto sovietico, avesse preparato più di un comunicato stampa a seconda della riuscita o fallimento del volo.
E invece tutto finì straordinariamente bene, dato che dopo 1 ora e 48 minuti il nostro Gagarin atterrò, non senza un brivido finale, nella campagna della regione del Volga, dopo che la sua orbita aveva toccato una distanza massima dalla Terra di 327 chilometri ed una minima di 169. 108 minuti per passare alla storia e gli ultimi furono funestati da possibili incidenti mortali. Prima la capsula non voleva staccarsi dal resto della Vostok 1, e questo avrebbe fatto precipitare il tutto senza speranza, perché le cinghie metalliche stentarono a bruciarsi come dovevano. Poi per fortuna l'ogiva sferica contenente l'astronauta riuscì a separarsi e Gagarin a 7 chilometri di altezza, come previsto, si eiettò con sedile e paracadute, ma quest'ultimo rischiò di aggrovigliarsi e far cadere Yuri come una pallottola fino al suolo. Ma la fortuna aiuta gli audaci, e negli ultimi minuti dell'atterraggio fu proprio così e il nostro riuscì a toccare il suolo in piena campagna davanti ad una contadina stupefatta che era nei campi assieme alla piccola figlia.
Anna Takhatarova era il suo nome e possiamo immaginare cosa pensò quando vide cadere dal cielo qualcosa che nessuno mai aveva visto al mondo, un astronauta in tuta arancione con un casco metallico. Gagarin ebbe la prontezza di spirito di togliersi il casco e parlargli subito in russo e così Anna passò alla storia, poi più volta arricchita di particolari romanzati, senza aver fatto niente di straordinario se non essere lì, in quel punto, allibita assieme alla figlia.

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