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Questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2011 alle ore 15:48.

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L'umanesimo fa scuolaL'umanesimo fa scuola

Se la scuola va in crisi, la democrazia muore. Con «Non per profitto» (il Mulino, prefazione di Tullio De Mauro) Martha Nussbaum lancia un grido di allarme per salvare la scuola e le università dalla loro trasformazione in laboratori per la produzione e il consumo. Le cause di questo pericoloso cambiamento? Eliminare lo studio di Shakespeare e Raffaello, di Platone e del Risorgimento, ovvero i saperi umanistici dai curricula scolastici e universitari, spiega la filosofa Usa.

Non è un appello passatista contro l'innovazione: a leggere questo manifesto per una scuola democratica, bisogna ricredersi tanto è pieno di pathos, ma anche di buon senso e di civismo. La filosofa è in questi giorni a Chicago, dove insegna, ma in procinto di partire per la sua amata India, terra alla quale ha dedicato molti saggi e che torna anche in questo libro con l'esempio pedagogico di Rabindranath Tagore.

«Dai tempi di Socrate – spiega oggi – sappiamo che la filosofia è vitale per la possibilità della democrazia di discutere e prendere decisioni più razionali. Che la storia è fondamentale per la cittadinanza globale, necessaria oggi. E che la letteratura e le arti sono fondamentali per lo sviluppo della capacità di vedere una situazione dal punto di vista di qualcuno diverso da noi».

È singolare la miopia che affligge i governi occidentali. Dalle famose tre «i» al «con la cultura non si mangia» di casa nostra, alla disattenzione di Obama, molti paesi non ritengono centrale salvaguardare le scuole, preferendo le ragioni dell'economia a quelle dell'educazione. Come se fossero alternative, risponde la Nussbaum. «Se nelle scuole vengono penalizzate la storia e la letteratura, l'arte e la filosofia, rischiamo di perdere ingredienti fondamentali anche per una cultura d'impresa sana. Singapore e Cina, che certo non mirano a costruire le istituzioni democratiche, hanno di recente riformato i loro sistemi di istruzione per includere le discipline umanistiche, proprio per questo motivo».

D'accordo, le humanities sono importanti, però è inutile nascondersi: in società come le nostre, il problema fondamentale dei giovani (e ormai anche di molti meno giovani) è il lavoro che manca o che vale poco. «Ovvio – ci risponde la Nussbaum – le persone hanno bisogno di lavorare e i giovani hanno bisogno di essere formati per lavorare. Ma la formazione umanistica è molto apprezzata dai datori di lavoro perché l'economia dell'informazione ha bisogno di persone che siano mobili e fantasiose, e che sappiano pensare, non persone che hanno imparato una serie di competenze in modo meccanico».
Eppure, spesso, c'è chi considera la democrazia come un prodotto del capitalismo. Anche questo è vero, risponde l'autrice: «Non vi è dubbio che le persone hanno bisogno di lavoro e un'economia stagnante non funziona per offrire lavoro. Ma abbiamo molte prove che la crescita economica di per sé non produce automaticamente una democrazia, non le fornisce valori necessari come la libertà politica, libertà religiosa, la salute e l'istruzione. Si veda la Cina, per esempio, e al contrario alcuni Stati indiani che hanno ottima sanità e istruzione, senza la crescita economica».

Si potrebbe vedere dietro le parole della Nussbaum (o almeno noi italiani le potremmo valutare così) l'intenzione di lasciare tutto com'è. Le chiedo un'opinione sull'antica contrapposizione nelle nostre scuole: latino sì o latino no nelle scuole? È utile studiare lingue morte? Sorprende il commento della filosofa. «Continuo a credere che sia importante che alcune scuole insegnino Sofocle e Virgilio in lingua originale. Però non credo che imparare il greco e il latino sia una condizione necessaria per essere una persona colta. Insomma, la penso come Thomas Jefferson per il quale c'era troppo elitismo intorno alle lingue antiche».

Nussbaum anti-modernista? La denuncia neanche troppo velata si legge in una recensione al libro del teorico dei nuovi media Geert Lovink, che l'accusa di essersi dimenticata che oggi l'immaginazione è digitale, che i cittadini si esprimono con "uno e zero" e che l'approccio multidisciplinare che lei celebra è una bugia perché la società non è multidisciplinare. Il rischio è quello di tornare a un sistema dei saperi contrapposti, quello che preoccupava sir Charles Snow più di mezzo secolo fa, quando scriveva il suo pamphlet sulle «due culture». «Figuriamoci – conclude la Nussbaum – sono completamente a favore della ricerca scientifica, della sua capacità di visione e della sua creatività. Ma ora quello che sta capitando nelle nostre scuole non è l'aumento di questo modello. Anzi, gli scienziati di primo piano deplorano i tagli alle discipline umanistiche. Sono stata a Londra pochi giorni fa e lord Martin Rees, presidente della Royal Society e astronomo della regina, era molto d'accordo con me».

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