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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2011 alle ore 08:26.

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Imbarazzo a Silicon Valley. Facebook si è fatta sorprendere a diffondere voci su presunte violazioni della privacy da parte di Google, con una campagna per la quale aveva ingaggiato la società di pubbliche relazioni Burson-Marsteller, uno dei giganti del settore. La notizia potrebbe giocare a favore di Google nel momento in cui l'azienda è coinvolta in varie inchieste sulla privacy.

La campagna di Facebook è venuta alla luce con la rivelazione, sul sito di notizie Daily Beast, della scoperta che due ex giornalisti ora dipendenti Burson avevano suggerito per email a blogger e cronisti di scrivere editorali e articoli d'inchiesta critici verso Google.

L'accusa: uso di dati riservati degli internauti. Nelle email mandate dai pr di Burson-Marstelle era sotto accusa Social Circle, un'applicazione di Google che consente agli utenti di posta Gmail di vedere aggiornamenti e dati non solo dei propri corrispondenti ma anche dei loro amici. Cosa che secondo le accuse costituisce un'invasione della privacy non consentita dagli utenti né dagli accordi di Google con le autorità di settore, oltre che un modo per «scovare dati privati e costruire dossier personali».

Frase questa contenuta appunto nelle email inviate a vari giornalisti e che l'influente tecno-blogger Chris Soghoian, sentendo puzza di bruciato dopo aver chiesto a Burson chi c'era dietro le accuse senza ottenere risposta, ha deciso di pubblicare la settimana scorsa. I sospetti si sono subito addensati su Microsoft e Apple, i nomi che spuntano più di tutti quando si parla di rivali di Google. Ma poi è venuto alla luce che il colpevole era il social network, che ha ammesso per bocca di un portavoce di aver assunto Burson per la campagna anti-Google.

Dietro alla decisione, ha affermato Facebook, sospetti che Google stia muovendosi nel social networking usando dati raccolti da Facebook stessa. La reazione di Google è affidata al capo delle comunicazioni, Chris Gaither, ma rimane sul vago: «Abbiamo visto l'e-mail che si dice sia stata mandata da un rappresentante di Burson-Marsteller. Ma non commentiamo». BM, come è nota nel settore, non è un nome qualunque: ha sessant'anni di vita e a guidarla è l'a.d. Mark Penn, clintoniano di ferro, prima consigliere di Bill e poi nel 2008 responsabile delle strategie niente meno che della campagna presidenziale di Hillary.

In gioco oltre che le reputazioni ci sono gli almeno 25 miliardi di dollari solo negli Usa del mercato della pubblicità online, di cui Google ha il 40 per cento secondo eMarketer, con Facebook intorno al 5 per cento e in salita. Più si conoscono abitudini e dati degli internauti e più si possono mirare le pubblicità direttamente ai gusti del singolo utente: un campo minato per la privacy, tema sul quale Google sta avendo problemi al Senato Usa (audizioni sui rischi dei telefoni Android per la riservatezza) e in Corea del Sud (perquisizioni nella sede della società a Seoul).

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