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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2011 alle ore 17:47.

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Il chip di carbonio corre veloceIl chip di carbonio corre veloce

Un chip un po' speciale quello descritto la settimana scorsa da un gruppo di ricercatori Ibm in un articolo sulla rivista Science. Non foss'altro perché cade a cento anni dalla nascita della International Business Machine (le candeline sono state spente giovedì scorso), una società leggendaria alla quale si devono invenzioni della vita di tutti i giorni: la memoria Ram, gli hard disk, le bande magnetiche delle carte di credito o i codici a barre.

Il nuovo chip è apparentemente un circuito analogico per telecomunicazioni, un mixer di frequenze, di un tipo comunemente usato nei trasmettitori radio e nei telefonini. Però capace di andare a 10 gigahertz, dieci miliardi di oscillazioni al secondo, più del doppio di quanto si raggiunge oggi con analoghi circuiti allo stato dell'arte industriale. Il segreto sta nel cuore del chip: una quasi invisibile lamina trasparente di grafene, lo straordinario materiale fatto di atomi di carbonio connessi in una geometria piana esagonale. Una rete ordinata estremamente robusta, ad alta mobilità elettronica, estremamente stabile al calore.

L'area di grafene al centro del chip Ibm è quella che vibra a 10 gigahertz. «E riesce a lavorare anche a 120 gradi ‐ spiega Giorgio Richelli di Ibm Italia ‐ con alta stabilità». Si apre quindi una prospettiva: «Trasmissioni radio su frequenze ancora non raggiunte. Ma anche la possibilità di creare body-scanner a basso costo e bassa invasività. E persino apparecchi diagnostici in grado di usare onde radio ad altissima frequenza per visualizzare patologie corporee».
È solo il primo passo. Negli anni scorsi sono stati prodotti singoli transistor a grafene. E si è capito che questo materiale, anche se straordinario, ha ancora almeno due handicap. «Il primo sta nella sua intrinseca natura a generare correnti parassite quando il transistor è in fase di 'off'. Quindi non si spegne mai del tutto, e non riesce ancora a lavorare come il silicio nei chip digitali. Il secondo limite è produttivo: un'area di grafene è difficile da ancorare a una base di materiale diverso, difficile da tagliare e modellare».

I ricercatori, infatti, giocano con una superficie, piuttosto delicata, di singoli atomi carbonici interconnessi dallo spessore di meno di un nanometro. Con i suoi elettroni che schizzano da atomo ad atomo, secondo logiche quantistiche.
«La soluzione Ibm è stata quella di prendere una fetta di carburo di silicio, riscaldarne la superficie a 1400 gradi e bombardarla con argon. Il gas, a quelle temperature, asporta il silicio e lascia il carbonio, che naturalmente forma la geometria del grafene». E poi, intorno a quell'area, il gruppo Ibm, guidato da Phaedon Avouris, ha costruito con le tecniche usuali le componenti aggiuntive necessarie. «Le porte logiche sovrapposte all'oscillatore in grafene e poi i due induttori per le frequenze». Piste metalliche sul supporto in carburo di silicio.

Una soluzione inedita, che ha coniugato grafene a microelettronica. Peccato però che il chip sia analogico, e non ancora digitale. E peccato sia costruito in materiale costoso, qual è il carburo di silicio, usato solo per chip militari o spaziali. «Ma questa è la ricerca, i passi avanti si fanno per gradi»,osserva Richelli. E il gruppo dell'Ibm, sponsorizzato dalla Darpa, sta lavorando su processi produttivi del grafene microelettronico meno costosi. E sulla limitazione delle critiche correnti indotte. L'obiettivo è, dopo gli attuali 22, 16 o poi 12 e 9 nanometri sul silicio (ultima tappa prima dei limiti fisici di questo materiale) riuscire a passare al grafene per l'intera elettronica.

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