Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2011 alle ore 17:42.

My24

Il sistema attuale di gestione degli indirizzi di internet, noto come protocollo Ipv4, è entrato in funzione il primo gennaio 1983, dopo otto anni di attesa, con una popolazione in rete di poche decine di migliaia di persone. Oggi, nonostante la versione 6 sia allo studio dal 1996, tutto è fermo. L'inerzia di 2 miliardi di internauti e 250 milioni di siti web frena il cambiamento. Ma cosa succederebbe in concreto agli utenti comuni e alle aziende se si passasse davvero dall'Ipv4 all'Ipv6?

Il problema è noto: la modalità di assegnazione degli indirizzi numerici di internet - paragoniamoli ai numeri di telefono - utilizzata finora è praticamente arrivata al palo. Sono stati assegnati la maggior parte degli indirizzi da parte dell'ente che coordina lo sviluppo tecnologico della rete, l'Internet Engineering Task Force (Ietf), e ora occorre passare a un nuovo sistema di numerazione. Per gli utenti almeno sulla carta non cambierebbe dunque niente, perché si utilizzano indirizzi nominali che poi vengono tradotti da un server Dns in indirizzi Ip (come i nomi della rubrica telefonica, più facili da ricordare, che puntano in automatico al numero di telefono vero e proprio) e in questo caso si tratterebbe 'solamente' di associare ai vecchi nomi un nuovo indirizzo numerico. Sulla carta, perché in realtà le cose sono molto più complesse di così.

Il problema non è semplice: «I due sistemi non sono interoperabili - spiega Alessandro Salesi, a capo dell'area Broadband technologies & solutions di Juniper Networks per l'area Emea -, o si usa l'uno, o si usa l'altro». E 'spegnere' il vecchio sistema di assegnazione degli indirizzi, chiamato Ipv4 (quarta e a lungo definitiva versione degli 'internet protocol' realizzati da Vint Cerf e Bob Kahn) vorrebbe dire mettere al buio tutti i milioni di utenti che non si sono adeguati per tempo alla versione 6.

È necessario allora un adeguamento graduale, con complesse soluzioni transitorie per l'interoperabilità: ma non è stata stabilita alcuna data di scadenza né dallo Ieft né dagli altri enti che regolamentano internet. Si procede allora con l'adozione di tecnologie intermedie, sperando in una accelerazione naturale. «Riteniamo - dice Salesi - che ci vorranno almeno dieci anni prima che venga utilizzato in maniera prevalente l'Ipv6: secondo noi la migliore soluzione per le aziende è l'adozione di sistemi dual-stack, bimodali, che permettano di essere interoperabili con entrambe le tipologie di connettività internet, e pensare a soluzioni di cloud computing per la traslazione degli indirizzi».

Intanto, i tempi si allungano, e i costi salgono mentre i benefici rimangono miraggi. Perché l'opportunità dell'Ipv6 non è solo di avere a disposizione più indirizzi (richiesti soprattutto in Asia), ma anche di offrire servizi nuovi, maggiore semplicità nella creazione delle reti, più velocità, più sicurezza, più potenza. E bisogna mettere in conto anche più rischi per la privacy, dato che nell'internet delle cose, dove anche la lavatrice di casa avrà un indirizzo Ip, la pubblicità e forse i malintenzionati potranno seguire da lontano le nostre mosse con una precisione adesso impossibile.

In Italia nessun fornitore di connettività offre servizi basati su Ipv6, i siti e i servizi erogati via internet non sono aggiornati (ci sono solo sei siti italiani nei primi diecimila che provano l'Ipv6) né l'apparecchiatura di rete nelle case italiane o nella maggior parte delle aziende è compatibile o almeno aggiornabile. Mancando i bollini, non si sa neanche se si comprano cose che lo saranno. «Nelle aziende italiane i server spesso sono nuovi ‐ dice Michele Zamboni, titolare della milanese Comedia Srl, azienda hi-tech che fa da supporto alla integrazione dei sistemi nelle grandi aziende ‐, ma le apparecchiature di rete sono vecchie, perché sono robuste, non si guastano e fermarle non fa più lavorare la gente. Il 'ferro' compatibile ce l'ha solo chi cambia tutto o inizia oggi, e non sempre».

È il motivo principale per cui nelle aziende italiane di Ipv6 non si parlerà ancora a lungo: bisognerebbe intervenire su apparecchi che in realtà funzionano. E ai privati andrebbero sostituiti milioni di modem e access point casalinghi incompatibili. Ma allora, chi accetterà questa sfida per far decollare l'innovazione di domani?

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi

301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.