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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2011 alle ore 16:00.
«Può richiamarmi tra mezz'ora? Sono alle prese con un ragionamento». Il colloquio con Massimo Marchiori inizia così: interrotto per cause di 'sforzi maggiori'.
Il quarantunenne matematico di Padova, vive per la ricerca. Potrebbe essere un milionario della Silicon Valley: invece ha solo uno stipendio da ricercatore, nella sua università. Perché Marchiori è l'autore dell'algoritmo che fa girare il mondo: l'algoritmo di Google.(Leggi l'articolo originale)
Tutto comincia nel 1997, a Santa Clara, quando durante la sesta conferenza internazionale del World Wide Web scrive una pagina nella storia di internet, facendo vedere il suo motore di ricerca, battezzato Hyper Search. Dal palco, riesce a incantare la platea con due semplici parole: rosa e ornitorinco.
Digita queste due parole tradotte in inglese, lancia più ricerche e in pochi istanti mostra la fine dei motori di prima generazione. Il confronto con le liste dei rivali dell'epoca è impietoso: solo Hyper Search offre link sempre pertinenti. Per esempio, a differenza di Excite, digitando 'rose' non risponde segnalando il sito di un incerto studio legale «Rose», né quello dello stadio «Rose Bowl» di Los Angeles: se gli chiedi di parlarti di 'rose', Hyper Search ti porge solo fiori. Un risoltato eccezionale, per l'epoca. Lo stesso accade con la traduzione di ornitorinco: prova che gli errori non riguardano solo le ricerche generiche.
Ad ascoltare Marchiori ci sono nomi importanti: dall'inventore del web Tim Berners-Lee, a Robert Metcalfe, padre dell'Ethernet. «Alla fine della conferenza ‐ ricorda Marchiori ‐ uno dei presenti mi avvicina: era umile, poneva domande pertinenti. Colpiva soprattutto la capacità di ascoltare». Il ragazzo gentile e curioso è Larry Page, oggi alla guida di Google. «Siamo rimasti insieme a pranzo, nel pomeriggio, la sera e il giorno dopo», ricorda Marchiori. Alla fine Page lo saluta e dice: «Io cerco di sviluppare la tua idea: mi sembra buona. Magari a Stanford trovo dei finanziamenti». È appena nato Google.
Oggi Massimo Marchiori usa Google per le sue ricerche online. Dal 1998 riceve periodicamente allettanti offerte di lavoro da Google, Microsoft, Yahoo!: «L'ultima l'ho rifiutata pochi mesi fa». Preferisce rimanere in Italia: «Lì non sarei libero di fare ricerca. E poi, se hai la casa con i buchi nel soffitto, o scappi o provi a ripararli. Io ho deciso di non scappare». Lo dice con orgoglio, sapendo bene che Padova non è Stanford: «Nel 2009 ho chiesto un finanziamento di 20mila euro all'università per lo sviluppo di un nuovo motore di ricerca. La richiesta è stata bocciata».
Soldi o non soldi, all'inventore di Google, Google non piace più. «Al pari di tutti i motori - spiega - è come l'oracolo di Delfi: a domanda, risponde». E la sua risposta è considerata quella giusta. L'oracolo dovrebbe invece 'aprirsi', e la risposta nascere dal dialogo. Così, oggi Marchiori è alle prese con un nuovo algoritmo. «Per sviluppare - spiega - il motore di ricerca di terza generazione, basato sull'interazione delle persone con il sistema».
Passaggio generazionale, ma anche etico. Oggi che Google è diventato un oracolo, usarlo presuppone un atto di fede. Come ai piedi dell'Olimpo, non si dubita di una divinità: altrimenti ti fulmina. Ma Marchiori può e vuole farlo, perché l'oracolo-Google in fondo è una sua creatura. E perché questo oracolo oggi è il principale fornitore di conoscenze: le sue ricerche «servono il cibo per le nostre menti». Il ragionamento è chiaro. Qualsiasi sistema che dà informazioni, fa una selezione. Dobbiamo quindi diffidare anche di Google: la sua metrica non è neutrale. Come quella di tutti gli altri motori di ricerca. Per dimostrarlo non serve la matematica: basta la cronaca.
«Su questo siamo rimasti indietro proprio per la velocità della rivoluzione tecnologica». Il legislatore ha molta strada da fare. Si chiede Marchiori: «Chi garantisce che il cibo dell'informazione non sia alterato? Chi controlla che non ci siano danni per la salute intellettuale? Chi deve fare i controlli sul cibo della mente?». Come per gli alimenti, non si può pensare che il dovere di fare i controlli sia a carico del consumatore finale. Diversamente, «nutrirsi di solo Google può essere dannoso».
Il matematico che al Mit di Boston ha condiviso l'ufficio con Tim Berners-Lee, ammette: «Da tecnologo, mi sto trasformando in sociologo. Obbligato dal web, che diventa sempre più sociale: presto persone e informazioni, online, saranno la stessa cosa». Per chi passa già molto tempo con i numeri, più che gli hyperlink contano le relazioni umane. Con Larry Page ha stretto una cordiale amicizia: «Non siamo diventati amiconi: ci unisce un rapporto di reciproca stima». Di Tim Berners-Lee ricorda l'umiltà: «In aereo viaggiava con noi, giovani ricercatori del suo team, in classe economica: anche sui voli intercontinentali». Di Bob Metcalfe i gesti gogliardici. «Quando la sua previsione non si avverò, si rimangiò l'enunciato, come promesso: mise il foglio su cui aveva previsto il collasso del web in un frullatore pieno di latte. Poi bevve davanti a noi».
Il matematico-sociologo si sente parte di un tutto. «Mi piace l'idea che la ricerca che faccio sia usata da altri e per tutti - spiega -. È la soddisfazione più grande. Se facessimo ricerca solo per noi stessi, il mondo sarebbe più brutto». Anche in questo caso la dimostrazione è nei fatti: «Se non ci fosse stato Google, forse la mia idea sarebbe rimasta nel cassetto». Poi confessa: «Il pre-algoritmo di Google non è stato la cosa migliore che ho fatto». Marchiori è pronto a inventare Google per la seconda volta? «Ho un'idea», ammette sorridendo. Prima di tornare alle prese con un ragionamento che non ha mai interrotto.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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