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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2011 alle ore 14:19.

All'opera debutta la scenografia virtualeAll'opera debutta la scenografia virtuale

Come accedere, a teatro, al misterioso interno delle famose sette stanze del Castello di Barbablù? Se l'opera è in 3D, sono loro a venirvi incontro. E non per modo dire. Per celebrare i cento anni dalla composizione del capolavoro di Bartók, l'Opera di Stato Ungherese ha optato per una rappresentazione tecnologicamente alla moda, servendosi del 3DLive. Per farlo si è affidata a un team tutto italiano: dal produttore Francesco Stochino Weiss alla regista Caterina Vinello passando per le luci di Alessandro Chiodo. Il tutto coadiuvato dalla sapienza di Andrew Quinn (quello degli effetti speciali di Matrix e Tomb Rider).

Ora, ci si chiederà, che significa "opera in 3D" dal momento che il teatro è naturalmente tridimensionale? È ovvio che l'effetto 3D riguarda tutto ciò che circonda gli interpreti, in una parola le scene. Si tratta dunque di una sintesi tra cinema e teatro in cui i due cantanti si muovono in uno spazio vuoto, riempito solo virtualmente da proiezioni che fanno l'effetto di fuoriuscire dallo schermo e invadere la sala. È il castello a ruotare intorno a Judith (la brava Komlósi Ildikó ormai celebre in questo ruolo, lo interpreta per la centocinquantesima volta) e Barbablù (Kovács István), è il contenuto delle stanze ad "avanzare" e a rendersi esplicito nei dettagli. Ciò non può che avvenire tramite l'uso dei famigerati occhialini (in questo caso molto leggeri, con una variante a "clip" per chi già porta gli occhiali da vista). «La diffidenza da parte dei teatri – spiega il produttore – riguarda proprio l'uso degli occhialini. La paura iniziale era che il pubblico, soprattutto quello più tradizionalista, rifiutasse di indossare l'occhiale e questo sarebbe stato un flop per ogni teatro.

Ma noi abbiamo capito che non sono le lenti a disturbare la vista – prosegue Stochino - ma le immagini che metti davanti. I primi ad accettare a scatola chiusa sono stati Budapest e Pechino, la nostra prossima tappa. Adesso cercheremo di convincere anche l'Italia». Seppur possa sembrare fuori luogo, questo incontro con il cinema non è un'assurdità e il risultato è gradevole, soprattutto se chi progetta l'opera non esagera negli effetti speciali e non riempie lo schermo di oggetti "volanti". Perché così si correrebbe il rischio concentrare tutta l'attenzione sulle immagini perdendosi poi la performance lirica: si è sempre a teatro, la musica non è una colonna sonora di un film o di un videogioco. Nello sfruttare questo 3D, rigorosamente "Live" perché appunto si deve adattare alle esigenze dello spettacolo dal vivo, ci sono vantaggi meramente materiali, come il risparmio sulle scenografie (nonché il cavalcare una tendenza), e di tipo artistico, come questo tentativo di ibridare i linguaggi del teatro con quelli del cinema. È quindi un'ipotesi futuribile anche per avvicinare all'opera chi non la frequenta mai senza per quello perdere gli spettatori di sempre. Basta che il pubblico sia pronto a cambiare abitudini, rinunciando al binocolo e sostituendolo con gli occhialini.

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