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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2011 alle ore 15:51.

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Batteri come fabbriche, come raffinerie, come magazzini d'informazioni. Le biotecnologie procedono sulla strada dell'ingegnerizzazione dei microbi per produrre in maniera più economica ed ecologica farmaci, biocarburanti, lubrificanti, cosmetici, polimeri e quant'altro.

Un gruppo di ricercatori della Chinese University di Hong Kong ha scoperto che un solo grammo di Escherichia coli, il batterio più usato nell'ingegneria genetica, è in grado di immagazzinare tante informazioni quante possono essere memorizzate in un disco rigido gigante da 900 terabyte. Il biostorage potrebbe portare una vera rivoluzione nel modo in cui vengono immagazzinati testi, immagini, musica e anche video. "Tutti i tipi di computer sono vulnerabili ai guasti o al furto di dati, mentre i batteri sono immuni da attacchi informatici", ha fatto notare il professor Chan Ting Fung, che ha guidato il team di ricerca. Il team ha inventato un sistema per comprimere i dati e registrarli in cellule diverse, mappandoli in modo da poterli facilmente recuperare in seguito, come dalla memoria di un computer.

Ma il batterio killer, che ha fatto strage in Europa la scorsa estate, piace soprattutto per la sua capacità di "digerire" materiali poveri e trasformarli in preziosi farmaci o biocarburanti. La ricerca in questi due settori procede parallela e ha due centri focali al Mit e a Berkeley. Se Greg Stephanopoulos domina il campo sulla costa orientale, è Jay Keasling, professore di bioingegneria a Berkeley e capo del Joint BioEnergy Institute del Department of Energy, la star della costa occidentale. Keasling ha lavorato al Berkeley Lab con Steven Chu, il premio Nobel chiamato a Washington da Barack Obama per fare il ministro dell'Energia. Il suo istituto è uno dei tre centri di ricerca creati da Chu per aiutare l'America a svezzarsi dal petrolio: qui dirige un piccolo esercito di 150 scienziati, con cinque anni e 134 milioni di dollari a disposizione, per costruire il batterio giusto, efficiente e di poche pretese, capace di trasformare quello che mangia – dagli scarti agricoli ai residui industriali – in idrocarburi utilizzabili come carburanti.

Prima di essere chiamato da Chu a lavorare sui biocarburanti, Keasling aveva messo a segno un primo grande successo in campo farmacologico, con cui aveva ottenuto un mega-finanziamento dalla Fondazione Gates: era riuscito a riprogrammare i geni di un lievito, creando un microrganismo capace di trasformare lo zucchero nel più potente principio attivo antimalarico presente sul mercato, l'artemisinina, e riducendo i costi di produzione del farmaco a pochi centesimi per dose. Ora che è stato dirottato sui biocarburanti, ha immediatamente attratto l'attenzione di BP, che ha destinato al suo lavoro al Jbei (soprannominato Jay-Bay, data la vicinanza della baia di San Francisco) un finanziamento di 50 milioni all'anno per i prossimi dieci anni. Nell'attuale congiuntura economica, 500 milioni di dollari in un colpo solo non li prendono in tanti. E non è l'unico segnale che in quella pentola stia bollendo qualcosa d'importante. Keasling ha anche fondato una società, Amyris, quotata in Borsa l'anno scorso, con cui commercializza le sue scoperte. La società, che ha un impianto di produzione a Emeryville e vende sia biodiesel che lubrificanti, ha trovato un importante investitore: Total è entrata con una quota del 17% per 133 milioni di dollari. Mica male per una start-up.

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