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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2011 alle ore 11:58.

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Un grande piano Marshall, uno sforzo globale nel quale convogliare tutte le risorse buone che ancora esistono, economiche ma anche e soprattutto umane, per entrare finalmente in una nuova era e salvare il pianeta e noi stessi. Questo il messaggio in bottiglia lanciato da Lester Brown, ecologista, scrittore e direttore dell'Earth Policy Institute di Washington, nel suo nuovo libro appena uscito in Italia, intitolato «Un mondo al bivio - Come prevenire il collasso ambientale ed economico» (Edizioni ambiente, 24 euro, pagine 270).

Brown, padre dello sviluppo ecosostenibile e ritenuto da molti uno dei pensatori più influenti al mondo, riprende le fila del discorso iniziato nei suoi libri precedenti per spiegare come l'attuale crisi economica sia strettamente collegata alle crisi ambientali e soprattutto alimentari, e come queste ultime, se affrontate correttamente, possano costituire la via d'uscita - probabilmente l'unica - dalla prima. Se, al contrario, l'umanità persevererà nel suo risky business attuale, la fine è pressoché certa: presto, infatti, non ci sarà più cibo. Spiega Brown a Nòva24: «I reperti archeologici di molte società del passato lo dicono chiaramente: la rovina giunge inesorabile quando non c'è più da mangiare a causa di sfruttamenti dissennati del territorio. Oggi siamo in una situazione di questo tipo ma molto più grave rispetto al passato, perché coinvolge tutto il pianeta: sta per scoppiare la bolla non finanziaria, ma alimentare, e sarà una bolla globale».

I segnali dell'imminenza di una crisi planetaria, del resto, ci sono già tutti, come dimostrano alcuni esempi. Racconta Brown: «Nell'estate 2010 tutto il mondo osservava quasi affascinato le temperature record raggiunte in Russia, attorno ai 37°C. Settimane di caldo intenso hanno però fatto diminuire la produzione di cereali da cento a 60 milioni di tonnellate e in gennaio i prezzi, sul mercato mondiale, hanno raggiunto vertici mai sfiorati prima».

«All'inizio dell'anno si è sperato che gli agricoltori, invogliati da ricavi così alti, piantassero più di prima, e così è stato, ma ciò ha significato anche molti più fertilizzanti e consumo del terreno. Poi è arrivata l'estate 2011; ancora caldo record, ma negli Stati Uniti, i più grandi esportatori di cereali al mondo, e ancora c'è stata una produzione inferiore alla domanda, con aumento dei prezzi e consumo delle riserve».
«È evidente che non si tratta di episodi isolati ma di segnali di una crisi di sistema».

Le ricadute economiche di questa situazione si fanno sentire ovunque, e per questo ci si aspetterebbe che l'agenda dei politici ponesse al primo posto il governo del territorio e delle produzioni, e invece così non è, come sottolinea Brown: «Metà di noi vive in zone dove l'acqua è insufficiente, le foreste diminuiscono a una velocità allarmante, l'allevamento di bestiame sta accelerando la desertificazione del suolo, i mari sono prossimi al collasso: anche se dagli anni 50 a oggi il tenore di vita, secondo alcuni economisti, è migliorato di dieci volte, la lettura del mondo non si può ridurre a valutazioni economiche e comunque tutto ciò ha avuto un costo che, a differenza di quanto si è voluto far ritenere, ci sta portando già oggi verso quella che, in economia, sarebbe una bancarotta».

Ma Brown non vuole essere solo negativo, e da tempo propone il suo Piano B, che così riassume (nel libro è illustrato diffusamente): «Ridurre velocemente le emissioni di CO2, stabilizzare la crescita demografica, creare le condizioni affinché i suoli, le riserve d'acqua, i mari, le foreste e gli altri sistemi naturali possano riprendersi agendo su leve fiscali e su cambiamenti nelle scelte politiche: il denaro pubblico non deve essere usato per finanziare guerre e armamenti, ma per salvare noi stessi dalla minaccia ambientale».

Infine, un segnale di ottimismo, perché laddove si cerca di andare in questa direzione i risultati si vedono. Spiega Brown: «La Danimarca e la Nuova Zelanda hanno già proibito la costruzione di nuove centrali a carbone. Nel 2010, l'Ungheria ha chiuso l'ultima miniera di carbone. La Scozia ha annunciato che entro il 2020 tutta la sua energia elettrica arriverà da fonti rinnovabili. Negli Usa l'uso di carbone è diminuito dell'8% tra il 2007 e il 2010. Il sindaco di New York Michael Bloomberg lo scorso luglio ha annunciato di aver donato 50 milioni di dollari al Sierra Club Beyond Coal, che promuove una campagna per l'abbandono del carbone, e questo è molto di più di un gesto benemerito. Se uno dei businessman più di successo della sua generazione sposa l'addio al carbone, può essere che tutta la comunità finanziaria riconsideri le sue posizioni.

Qualcosa, insomma, si muove. Del resto anche il Sierra Club inizialmente si batteva contro la costruzione di nuove centrali a carbone, ma visto che già ha ottenuto una moratoria de facto, oggi è in prima fila per la chiusura di quelle esistenti: negli Stati Uniti ce ne sono ancora 492, ma 71 sono candidate alla chiusura. Fare qualcosa, dunque, è possibile».

CHI È
Descritto dal Washington Post come «uno dei più influenti opinionisti del mondo», Lester Brown è fondatore e presidente dell'Earth Policy Institute di Washington (www.earth-policy.org), autore di più di 50 libri tradotti in decine di lingue, pluripremiato ed insignito di 25 lauree honoris causa. Con il suo istituto è promotore instancabile di studi e proposte per uno sviluppo ecosostenibile.

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