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Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2011 alle ore 18:10.

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Il filo sottile, quasi impalpabile che unisce le larve di Bombyx Mori ad avanzatissimi film di materiale traslucidi, dando vita a ologrammi che possono essere utilizzati per decine di scopi diversi è quello di un qualcosa che è conosciuto da migliaia di anni: la seta.

È studiando le caratteristiche dei bozzoli dei bachi da seta che Fiorenzo Omenetto, cervello in fuga da Pavia, oggi docente di ingegneria biomedica alla Tufts University di Medford, ha ottenuto biomateriali cui oggi guarda tutta la comunità scientifica perché biocompatibili, biodegradabili, versatili, del tutto naturali e facili da realizzare. Omenetto, che sarà a Genova il 25 ottobre, al Festival della Scienza, per illustrare le meraviglie di un materiale che non finisce di stupire, racconta a Nòva24 gli sviluppi futuri.

«L'idea di studiare le caratteristiche ottiche della seta mi è venuta quasi per caso, lavorando con David Kaplan, capo del dipartimento di Bioingegneria della Tufts University, che la stava utilizzando per ottenere scheletri biocompatibili per cornee artificiali e altri tessuti biologici. È stato in quel momento che ho visto per la prima volta un film trasparente di seta, e da lì è cominciato tutto». Il perché lo si capisce dall'entusiasmo con cui il bioingegnere parla dei suoi bozzoli:

«La seta spiega è un biopolimero sostenibile, ovvero completamente naturale; usa solo risorse rinnovabili; viene fabbricata e trattata con acqua, a temperatura ambiente e senza solventi; si può inserire nel corpo umano senza avere reazioni infiammatorie e dote davvero unica riesce a conservare la attività biologiche di composti che incorpora. Ciò significa che componenti che altrimenti necessitano per esempio di refrigerazione vengono stabilizzati e conservati nella seta. Inoltre, quel che vi viene incorporato può avere una durata programmata attraverso la biodegradazione e ciò consente di produrre oggetti che si dissolvono istantaneamente o che sono stabili per anni. E infine è commestibile!»
Il primo passaggio per arrivare a questi materiali prevede di rendere la seta liquida, per poi modellarla su scala nano. Il procedimento è relativamente semplice: si fanno bollire i bozzoli per eliminare la sericina, proteina collosa che scatena la reazione immunitaria dell'uomo.

Quindi si ottiene una soluzione densa che è pronta per essere lavorata a piacere e nella quale si possono inserire proteine con alta affinità per altre sostanze come l'emoglobina per l'ossigeno o enzimi come l'esochinasi, che lega lo zucchero, anticorpi che si legano a proteine tumorali e così via quasi all'infinito, perché la soluzione ingloba e mantiene integro di tutto. Ma seta e annessi hanno bisogno di un ulteriore passaggio: quello nello stampo, che conferisce la struttura nano, fondamentale per le proprietà cercate. Spiega Omenetto: «I materiali di seta hanno la capacità di replicare topografie su scale nanometriche. Una volta asciutta, la seta liquida si trasforma in una pellicola solida e trasparente che può contenere informazioni (come la superficie di un dvd). Con questa pellicola, e proprio grazie alla struttura nano, si possono realizzare componenti ottici diffrattivi, codificare informazioni e fare molte altre cose. Le nanotopografie possono poi generare ologrammi multifunzionali. Per esempio, un ologramma commestibile potrebbe certificare la provenienza di beni di consumo ed essere direttamente interfacciato a oggetti commestibili».

E così Omenetto, come un tessitore di materiali del futuro, ha ottenuto dispositivi che possono servire per verificare in diretta l'esito di un intervento chirurgico (ma che dopo qualche giorno spariscono senza lasciare tracce), adesivi antibiotici, fibre ottiche impiantabili, viti e bulloni terapeutici, giocattoli commestibili. «Molti di questi oggetti ‐ spiega ‐ sono prototipi in fase di commercializzazione, dalla sensoristica biomedica alle applicazioni di rilascio controllato di farmaci, alle protesi per legamenti o per vene, agli oggetti di consumo, a composti elettromagnetici». In alcuni di questi progetti è coinvolta anche l'Italia. «Abbiamo parecchie collaborazioni, per esempio con la Stazione sperimentale della seta di Milano e con il Cnr di Bologna. Inoltre lavoriamo con altre Università tra cui Siena, Trento e Pavia». Perché le vie della seta sembrano davvero infinite.

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